cronaca

Due modelli a confronto verso le elezioni del 4 marzo
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Che la partita del 4 marzo si giochi in gran parte sull'immigrazione è cosa certa. A Genova la prova è negli sfoghi della gente di Multedo: "Una certa parte politica qui non si è mai presentata. È chiaro che daremo il voto solo a chi ci ha ascoltato". Chi vuole intendere intenda. Quel centro accoglienza, messo su dalla Curia in quattro e quattr'otto per bypassare il prevedibile dissenso, avrà di sicuro una ricaduta sulla scheda elettorale. 

Ma la prassi è uguale dappertutto? Evidentemente no. C'è un altro quartiere che più di due anni fa alzò le barricate contro i richiedenti asilo: Quezzi. Quando venne fuori che il Ceis avrebbe aperto un suo centro a 'Casa Bozzo', in via Edera, dove un tempo c'erano le suore, nella valletta del Fereggiano scoppiò la rivolta. I cittadini avevano paura. La protesta sfociò addirittura nella tentata aggressione a un consigliere municipale. Poi, col tempo, gli animi si sono raffreddati. E oggi la tregua sembra tenere.

"Essenziale è la comunicazione. Bisogna affrontare i problemi uno per uno. Le povertà non vanno messe una contro l'altra, ma gestite insieme. Questa è la vera capacità dell'amministratore", spiega Enrico Costa, presidente del Ceis. Ma a parlare sono soprattutto i fatti: gli ospiti della struttura, circa una cinquantina di ragazzi tra i 20 e i 30 anni, quasi tutti africani, si sono rimboccati le maniche e hanno messo tutto a nuovo, dentro e fuori.

Così la struttura di via Edera, da semplice centro d'accoglienza, è diventata luogo di aggregazione per tutto il quartiere: ora c'è una nuova palestra - che tra pochi giorni attiverà corsi di ginnastica - e al posto della boscaglia incolta e franosa sono sorti un giardino che verrà aperto a tutti i cittadini e un orto collettivo "dove la gente potrà venire a prendersi la frutta quando vorrà", spiega Andrea Pescino che ha seguito i lavori insieme ai ragazzi. "Hanno una grande manualità, si vede che ci mettono passione". Da qualche settimana c'è anche un pollaio, curato personalmente da due ragazzi senegalesi. 

Le giornate passano tra corsi di lingua, formazione professionale, laboratori di scenografia. C'è poi chi ha deciso di fermarsi e di operare nel sociale. Come Yaya, un ventenne arrivato dal Senegal accolto col sistema Sprar che oggi collabora con la cooperativa: "Voglio continuare a lavorare coi profughi, mi trovo bene qui", ci racconta con un sincero sorriso. Il loro futuro è incerto, ma il presente è ben scandito. E, soprattutto, inizia a crearsi feeling col quartiere. Certo, magari non con tutti. "Ogni tanto riceviamo qualche mugugno, ma sono lamentele simpatiche, come quelli che si lamentano dei panni stesi - racconta Costa - ma nel complesso c'è grande rispetto". 

Comunicazione, integrazione, apertura alla gente, trasparenza. A Multedo la strada verso questi ideali sembra ancora lunga. "Noi non abbiamo nessun problema coi ragazzi, la convivenza è tranquilla. Ma abbiamo problemi con chi li gestisce", ribadisce Simona Granara, tra i cittadini che hanno protestato contro i migranti nell'ex asilo.

Oggi non ci sono più fiaccolate, striscioni, presidi. Anche il giudice ha dato torto agli abitanti che si erano giocati la carta del testamento della contessa Govone, condannandoli a pagare le spese legali. Ma il mugugno è tutt'altro che sopito: "Dalla Curia non è intervenuto nessuno, nemmeno un mediatore culturale - spiega Granara - Continua a mancare il dialogo. Abbiamo scritto anche al cardinale Bagnasco ma non abbiamo mai avuto risposta. Così l'integrazione è solo sulla carta". 

Don Giacomo Martino, il responsabile di Migrantes, dopo gli attacchi subiti negli scorsi mesi preferisce evitare i microfoni. Gli ospiti - ad oggi 32, dato della Prefettura - vanno e vengono, salutano. C'è cortesia reciproca, ma sempre a denti stretti. "Ci dicono razzisti. Noi piuttosto siamo stati razziati - si sfoga un altro residente - Ci hanno tolto tutto, l'asilo, le piscine, il mare col porto petroli, il terreno per i depositi petrolchimici, ci hanno tolto l'aria pulita. Ci hanno tolto tutto, cosa vogliono ancora?". E così, se a Quezzi c'è curiosità per vedere cosa i migranti avranno saputo offrire al quartiere, a Multedo prevale il senso di deprivazione. "I conti li faremo il 5 marzo", chiosa un signore nel capannello. Forse la sua velata profezia ha un fondo di verità.