cultura

Integrarsi nel capoluogo ligure non è sempre cosa facile
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Makò, Sys, Estoril per non allontanarsi da Corso Italia, sono tre delle principali attrazioni giovanili della notte genovese. Vietato però ballare e sorridere.



Eh si, perché ormai a ballare si va solo per modo di dire, sarà forse per non rischiare di sudare tutto l’alcol ingerito, per non fare intravedere la “pezzata” sotto l’ascella, o la gocciolina di sudore sulla fronte, ma a ballare a Genova si va per fare gruppo, per escludere chi non ne fa parte. Chi balla viene a volte addirittura guardato male. Giovani imbruttiti, ubriachi, grandi attori da discoteca. Un incontro della notte rimane nella notte, tanti sono gli episodi di “Ciao, ti ricordi ci siamo visti al Makò!” –  “Ero ubriaco non mi ricordo”.

Il gruppo prima di tutto, il singolo, il nuovo arrivato in città, non può reggere il confronto. Perché è così difficile per chi si trasferisce a Genova integrarsi?

I gruppi sono predefiniti, la gente ti guarda con sospetto, se non fai parte della compagnia, avvicinandoti si crea quel silenzio sottile di chi vuole metterti in difficoltà. Se sei un turista straniero, il gioco è bello ma dura poco. Prima il coinvolgimento parziale, poi l’abbandono.  Genova non è una città facile per chi non ci è nato, anzi è molto complicata.

Il sospetto, la paura di perdere la propria fetta di credibilità all’interno del gruppo porta all’esclusione dell’estraneo a prescindere, a meno che non porti qualcosa di nuovo, che però alla lunga stufa. Direttive dall’alto o no, se viene quello/a non calcoliamolo.

Un atteggiamento del genere porta la città ad assopirsi nelle proprie compagnie, sparisce la fantasia di un incontro casuale, di un approccio diverso, visto con grande sospetto e circospezione.

Il viaggiatore solitario che in altre città trova avventure e divertimento, si ritrova a mischiarsi con una Movida genovese difficilmente empatica e aperta al confronto. Può anche andare bene, le eccezioni ci sono sempre, ma senza conoscenze in comune, tutto è più complicato. Cene intere improntate a parlare o meglio “sparlare” degli assenti, persone che si conoscono, tutti hanno presente di chi si sta parlando, se non le conosci ovviamente sei escluso.

Ma la cosa più strana è che anche sorridere sembra diventato un tabù, trasparire serietà è ormai parte del “divertimento”. Sorridere non va più di moda, ballare sorridendo un episodio più unico che raro. Bisogna andare fino in Andalusia per vedere la gente ballare e sorridere a 32 denti? Mah, anzi moh, vida.