Era rimasta una delle ultime roccaforti della sinistra, una multiutility gestita di fatto dal Pd e dai suoi uomini, dove gli azionisti pubblici, cioè i proprietari, erano i comuni di tre regioni: i torinesi di Chiamparino, i genovesi di Doria, le amministrazioni dell’Emilia Romagna. In questo regno la sinistra si muoveva gestendo costi, investimenti e nomine. Con il capoluogo ligure che peraltro era l’ultima ruota del carro (o del carrozzone) rosso.
Le ultime elezioni amministrative del 2016 e 2017 hanno di fatto smembrato questa certezza della sinistra: Iren è finita in mano a comuni di tutti i colori, rappresentando l’arco costituzionale del parlamento italiano: con Torino ai 5 Stelle, Genova a Lega e Forza Italia, i comuni emiliani rimasti alla sinistra. Solo che qui non si tratta di una assemblea legislativa, ma di una società quotata che distribuisce quotidianamente, salvo guasti o rotture alle tubazioni, un bene primario come l’acqua.
In questo quadro si vocifera di strani movimenti da parte dei dirigenti di Iren, “spiazzati” dagli esiti delle ultime votazioni: pare che alcuni abbiano nascosto nei cassetti le tessere del Pd, un testimone racconta di manager molto “social” che condividono in rete i post di Beppe Grillo, ma anche di fazzolettini verdi che cominciano a spuntare dalle giacche dei manager della multiutility.
Oltre agli “spiazzati” ci sono i “disperati”: in testa un noto esponente del Pd genovese che pare avesse pronte le valigie per entrare in Iren con il ruolo di supermanager: sembra che fosse tutto pronto, così come l’affare Iren-Amiu.
Già, perché fino a poche settimane fa si raccontava di Amiu decotta, di una azienda che non aveva possibilità di sopravvivenza, che l’unica soluzione era fare la fusione, o meglio far mangiare Amiu ad Iren. Adesso però c’è una nuova giunta, un nuovo sindaco, in Amiu si pensano nuove soluzioni e qualcuno dice già “ora possiamo lavorare e dimostrare quello che sappiamo fare”. E a questo punto è lecito chiedersi se l’operazione Amiu-Iren fosse soltanto una messa in scena.
Sarà anche curioso capire come Iren gestirà questa fase di “triopolio” nell’azionariato, se ci sarà un accordo tra emiliani e genovesi, fra torinesi ed emiliani oppure fra Genova e Torino. Lo scenario è pieno di incognite, dove Pd (renziani e non), 5 stelle, forza italia e lega, potrebbero essere costretti a confrontarsi e stringere patti per gestire alleanze molto fragili dentro all’azienda. E allora diventa lecita anche un’altra domanda che riguarda Genova: considerando che il valore della partecipazione di Tursi in Iren è superiore a 400 milioni, e che Genova ha bisogno di finanza per rilanciarsi, potrebbe essere opportuno valutare una uscita da Iren dove, peraltro, si conta poco e la convivenza diventa molto pericolosa?
politica
Se Iren non è più rossa
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