cronaca

Il commento
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Nel 1955 cinque sacerdoti francesi che erano stati “preti operai” furono inviati a Genova dal cardinale arcivescovo di Parigi, Maurice Feltin, per studiare le forme di apostolato dei cappellani del lavoro, voluti dall’allora arcivescovo Giuseppe Siri e “cresciuti” sapientemente dal giovane don Luigi Molinari. In quell’anno Pio XII aveva cancellato l’esperienza troppo rivoluzionaria dei sacerdoti francesi, ma si era creata una forte tensione nella Chiesa che poi risolse definitivamente papa Roncalli. L’esperienza dei rapporti tra Chiesa e Fabbrica, per dirla all’antica, a Genova è stata sempre molto intensa e vissuta. Fino a oggi.

Questa naturale tendenza è stata riconfermata nel momento più politicamente significativo della visita di Francesco: il discorso dell’Ilva. Una sorta di “jobs act” vaticano che spazza via, come un deciso colpo di tramontana, i tentennamenti delle iniziative della politica nel mondo del lavoro. E ieri, come mi faceva notare un imprenditore attento, citando Einaudi e la differenza tra imprenditore e speculatore, impresa reale e finanza, il pontefice ha anche disegnato positivamente il ruolo dell’imprenditore “parlandone bene” come mai prima era stato fatto. S’intende: a patto che... Perché il papa le linee le segna sempre e sono binari d’acciaio.

Il secondo momento forte delle dodici ore di Bergoglio a Genova è tutto nella “poesia” del cardinale Angelo Bagnasco. Nelle stringenti e commoventi parole di saluto al Papa, l’”arcivescovo timido” ha fatto uscire un’incredibile passione per Genova e un esplosivo orgoglio per la genovesità, racchiusa in poche sottolineature: i vicoli, il porto, il mare intesi come segni della ripresa.

Bagnasco, senza mai alzare il tono della voce, nel suo stile elegante e sottile, è riuscito a toccare le corde più emotive della lunga giornata papale, nell’ora in cui il vecchio padre, segnato dalla stanchezza e dalla profondità degli incontri alcuni dei quali drammatici, si avviava al commiato, con un richiamo altissimo ai valori di Genova.

Mare, città vecchia e contradditoria (dove l’arcivescovo è cresciuto) e porto,
vera fabbrica-simbolo tra passato e futuro. Poche parole da genovese, magari orso o diesel, affettuoso ma non mieloso, lucidissimo, schietto (difficilmente Francesco lo pensionerà nel 2018!). Porto, vicoli e mare per lasciare impressa negli occhi stanchi del papa l’immagine di una Genova da amare, un po’ come “la sua Buenos Ayres” da cui i nostri avi volevano ritornare a “posà e osse” a tutti i costi.

Grazie arcivescovo. Altro che slogan della politica! Ci siamo presi in dodici ore staffilate e carezze indimenticabili.