Il sindaco Marco Doria sta uscendo dalla scena comunale e ci lascia in eredità un bilancio e... una montagna di spazzatura. Il bilancio, non solo quello faticosamente approvato in consiglio comunale, ma più in generale il rendiconto del suo quinquennale mandato, potete andarlo a leggere sul sito del Comune in 38 pagine di riflessioni e numeri sotto il titolo un po' altisonante: “Un'idea di città. Fatti concreti”.
Li dentro c'è tutto l'orgoglio del primo cittadino che ci ha governato negli ultimi cinque anni, ma c'è anche il “tratto” della sua personalità fondamentalmente riservata, poco comunicativa, ma leale e fedele ai propri principi. Doria è orgoglioso di avere investito bene le centinaia di milioni stanziati pubblicamente per difenderci dal rischio idrogeologico, dalle alluvioni, costate tanto alla sua sventurata predecessora, Marta Vincenzi. Non sono bruscolini, ma per esempio 547 milioni per interventi di tutela del territorio dei quali ben 284 dal Piano “Italia sicura”.
Doria ha così “messo in sicurezza il territorio”, facendo partire lo scolmatore del Fereggiano, appaltando la copertura finale del Bisagno e facendo partire l'operazione del secondo scolmatore. Doria ha accompagnato vigorososamente la crescita del turismo, con dati significativi nell'aumento e la qualità delle presenze, aprendo così il ventaglio che presenta Genova come “città di cultura”. Insomma, come dal motto di marketing che ha furoreggiato in questi anni, “Genova more than this”.
Ma ci sono altri capitoli di “fatti concreti” nel breviario che il sindaco-marchese ci lascia sul tavolo del suo ufficio. Vogliamo dimenticare il piano urbanistico comunale per lo sviluppo, il “disegno certo” della città, il quarto nel Dopoguerra genovese, il famoso Puc che sta già cambiando la città nelle zone ex Ilva, ex Centrale del latte, ex Piaggio?
Questa amministrazione, dunque, non ha lasciato buchi neri su un territorio con tanti retaggi di un glorioso e, ahimè, sepolto destino industriale.
Restiamo una città industriale e non di archeologia del tempo che fu, se abbiamo anche trovato spazio a Ansaldo Energia, al trasferimento di Esaote e all'ampliamento dell'lIT a Morego e sulla fatidica collina di Erzelli.
E non dimentichiamo la nuova viabilità a Ponente, la superstrada Guido Rossa, i lavori di Lungomare Canepa, il nodo di San Benigno e la nuova rampa di accesso alla Sopraelevata.
Il resto del bilancio è un po' meno concreto, un po' più annunciato che fatto, come il recupero delle periferie, ma anche visibile sulla pelle della città, come il passaggio dei beni demaniali, a incominciare dalla leggendaria (per l'abbandono) caserma Gavoglio.
Zitto zitto, ma non troppo, il sindaco sbatte lì tanti altri passaggi importanti della sua gestione nella difesa dei diritti, sopratutto di quelli sociali, tanto messi in pericolo dai tagli governativi.
Ma poi alla fine dove casca l'asino, dove si rovescia la montagna di una giusta, dal suo punto di vista, rivendicazione del proprio operato? Ma quando si arriva al capitolo intitolato: “Per un cambio di marcia nel ciclo dei rifiuti”.
È la partita infinita della nostra rumenta, del suo smaltimento, mentre la montagna di Scarpino incombe sul nostro futuro. Sappiamo come è finita. Rinviando sul tavolo del successore, chiunque sia, la partita Amiu-Iren, Doria ha acceso una miccia a veloce combustione che potrebbe far saltare per aria la futura giunta appena insediata.
Quella montagna di rumenta si rovescia appunto fuori dal confine della sua amministrazione e ricade per una cifra di 38 milioni di euro nei conti della giunta nascitura. Come dire che nasci con una pistola puntata alla tempia. “Purtroppo l'importante accordo Amiu Iren non è stato ancora approvato dal Consiglio comunale", chiosa il bilancio-breviario. E noi continuiamo a leggerlo con una stretta al cuore e alle nostre tasche.
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L'eredità di Marco Doria e la montagna di rumenta
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