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Dopo il No scritto su Facebook
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Non sappiamo come andrà a finire il futuro da possibile sindaco-bis o da candidato sindaco-bis del marchese Marco Doria, ma sicuramente negli ultimi mesi il nostro primo cittadino ha dimostrato una insospettabile dote da stratega. Nessuno gliela riconosceva e lo si considerava oramai un sindaco accerchiato, messo in minoranza dalla sua maggioranza, crivellato dal Pd, in balia delle molteplici emergenze cittadine, con un esiguo manipolo di fedelissimi. Insomma il suo galeone di marchese-sindaco dai magnanimi lombi e dal gonfalone arancione, sembrava pronto ad affondare, senza neppure sparare l'ultimo colpo di cannone in mezzo al golfo di Genova in fiamme. E invece...

Invece Doria si è fatto mettere saggiamente nel frigorifero dalla sua maggioranza e fino al fatidico momento del “no”, scritto su Facebook nel voto referendario, si è mosso in mezzo alla battaglia meglio dell'ammiraglio Nelson.

Rimandare tutto al dopo referendum, a questo oramai imminentissimo 5 dicembre, gli ha acconsentito di assecondare perfettamente i tormenti dei suoi sempre più decadenti alleati del Pd. Li ha lasciati scannare tra di loro e neppure troppo, sotto l'occhio sempre più lontano e in altre osservazioni affaccendato del commissario regionale Pd, David Ermini.

Gli ha consentito di liberarsi della stretta soffocante delle emergenze genovesi, che non sono certo terminate, anzi, ma non sono più state una stretta per il suo nobile collo: l'Amiu, l'Aster, l'Amt, l'ospedale del Ponente, la dubbia gestione sull'operazione Fondazione San Paolo, il disastro Iren, le infinite crisi aziendali, dalla Piaggio, al caso Erzelli che ha pure cambiato nome per sfuggure alle maledizioni.

Tutto è sembrato sfumare non nella sostanza, ma nella nebbia intorno al sindaco. Perfino l'inarrestabile Simone Regazzoni, il filosofo “Pierino” del Pd si è dedicato più al Pd da fustigare e alla sua candidatura da lanciare che alla persona del sindaco in difficoltà!

Cosa è successo nel frattempo dalle parti del suo ufficio, lassù sulle alture di palazzo Tursi? Che intorno al sindaco, alla sua figura, alla sua ipotetica candidatura-bis o alla sua rinuncia, comunque al suo possibile ruolo di “federatore” di una sinistra stracciata e divisa, si è potuto coagulare un certo numero di personaggi, amici di antica e di nuova data, una specie di coorte di fedelissimi, decisi a subordinare le proprie mosse alle posizioni del sindaco.

A incominciare da quello che resta il possibile candidato “universale” in caso di sua rinuncia, Luca Borzani, fermo a negare ogni suo coinvolgimento nella eventuale corsa per Tursi, ma fino a che la situazione del Doria non fosse chiarita in negativo per il sindaco uscente. E continuando con altri amici, pronti anche a scendere in campo in caso di ri-mobilitazione e a serrare le fila ancora per ritentare l'avventura comunale.

Cosa è successo nel frattempo? Che mentre il sindaco era politicamente nel frigorifero del Pd, che aveva rimandato tutto, qualche vantaggio si è accumulato per la gestione della sua amministrazione. Qualche consistente risultato operativo, ottenuto mentre la coltre del silenzio copriva, appunto, quelle emergenze, il mercatino abusivo di Turati-Quadrio, le indecisioni su tante partite delicate, dal Blue Print, alla Fiera, la gestione dei profughi sballottati di qua e di là, ma mai diventati un caso, anche grazie alle grandi compensazioni di una società genovese forte e solidale nelle sue strutture di accoglienza, cattoliche e laiche.

Fino al boom del “patto di Genova” che Renzi in trip referendario è venuto a firmare una settimana fa, certificando una pace con il sindaco arancione, fino a qualche mese fa impensabile.
Una pioggia di soldi, in parte già annunciati, ma comunque importanti, sul finire di una amministrazione. Tanto da poter addirittura tentare un bilancio di sindacatura molto meno peggio del mood che da anni circolava a Genova: in fondo Doria ottiene gli obiettivi che si era sempre prefissato: mette inicurezza il territorio da un punto di vista idrogeologico, garantisce la legalità, non fa le grandi opere che non aveva promesso, a parte la “tolleranza” sul Terzo Valico, scommette sul Blue Print, sul quale si era speso. Che volete di più?

Zitto zitto, quatto quatto, dove va questo sindaco inopinatamente rivestito con i panni dello stratega? Verso un bis o verso una elegante uscita di scena, ma con bilancio meno negativo delle fosche previsioni?

Tutto questo fino al “no” referendario, annunciato una settimana dopo il “Patto per Genova”, quando nessuno se l'aspettava, salvo quel perfido di Massimo D'Alema, che nella sua intervista a Primocanale, sulla nostra Terrazza Colombo, lo aveva svelato a me e a Mario Paternostro: Doria annuncerà il “no” all'ultimo, pochi giorni prima del voto. Detto fatto.

Ma ora dove finisce, con il presunto “tradimento” a Renzi, questa fine strategia dell'ammiraglio Doria al timone del suo galeone nella tempesta del Golfo di Genova? Era divertente leggere la stampa locale dopo il no referendario del marchese, sulla quale un giornale vaticinava la sicura ritirata del Doria e l'altro giornale preannunciava la sua imminente discesa in campo.

Lui, anche in questo inaspettato stratega, ha annunciato che il 5 dicembre se ne va in Cina e così si mette al riparo dalla tempesta interpretativa davanti al risultato. Te ne vai o resti? Chiamatela, se volete, tattica oppure, se siete un po' più perversi, furbizia comunicativa.