cronaca

Le acque del rio passarono in breve da uno a quattro metri
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Che le cose si stessero mettendo male, quel maledetto 4 novembre 2011, lo si capì già dal pauroso innalzarsi del livello del Bisagno ben oltre il livello di guardia, tanto che alcune case e attività commerciali vennero evacuate. Pioveva dalla sera prima, si raggiunsero i 500 mm la mattina del disastro.

Il Fereggiano passò in pochissimo tempo da un metro a quattro di altezza, scavalcando il punto in cui si infila sotto le case nell’omonima via, poi corso Sardegna, invadendo case e negozi, trascinando con sé ciò che incontrava, auto, motorini. E persone. Cancellò sei vite, tutte in via Fereggiano: una madre, Sphresa Djala, con le figlie di 1 e 8 anni, Gioia e Gianissa rifugiatesi in un portone, lo stesso in cui finì la vita di Angela Chiaramonte, che salvò il proprio figlio nell’androne di casa. E poi una diciannovenne, Serena Costa, rimasta schiacciata da una macchina mentre era di ritorno dalla scuola dove era andata a prendere il fratello. Le acque travolsero anche Evelina Pietranera spazzata via con il suo chiosco-edocola all'incrocio tra Via Fereggiano, Corso De Stefanis e Corso Sardegna.

I danni furono immensi, anche le acque del Bisagno tracimarono allagando le zone limitrofe e in particolare la bassa Valbisagno nella zona di piazza Adriatico dove vennero sommerse ampie zone residenziali, con punte anche di 2 metri di altezza. Eppure l’allerta era stata diramata, di massimo grado, allora si chiamava due, quella che oggi è stata ricodificata come rossa. Che cosa non funzionò, o meglio che cosa avrebbe potuto funzionare meglio? Quasi tutte le vittime stavano andando a prendere i figli, o il fratello nel caso di Sarena, a scuola.

Proprio la comunicazione tardiva, alle scuole, di non far uscire gli alunni, sarà uno punti più controversi del processo che si aprì in seguito. Insieme, prima ancora, al perché le scuole non fossero state proprio chiuse, visto il rischio elevatissimo. Da lì si sono susseguite una settantina di udienze, alla fine delle quali il pm Luca Scorza Azzarà ha chiesto sei anni e 1 mese nei confronti dell'ex sindaco di Genova Marta Vincenzi. Per l'ex assessore alla protezione civile del comune Francesco Scidone, il pm ha sollecitato 5 anni e 11 mesi di reclusione. Per i dirigenti comunali Gianfranco Delponte e Pierpaolo Cha, chiesti 4 anni e 7 mesi. Per Sandro Gambelli 4 anni e 2 mesi. Per tutti l'accusa è di omicidio colposo plurimo, disastro e falso. Per Roberto Gabutti, coordinatore dei volontari di protezione civile, accusato di calunnia, chiesto un anno e 5 mesi.
 
E’ emerso un quadro in cui, per l’accusa, la disorganizzazione regnava, i politici erano altrove, le sentinelle del fiume dovevano esserci e non c’erano, e si truccarono le carte per salvarsi. Secondo l’accusa il sindaco sapeva che alcuni provarono a cambiare l’orario della piena del Bisagno. Da qui l’accusa di falso. Forse la più pesante in questo processo.