cronaca

Da 10 anni gira il mondo portando sorrisi tra i bimbi delle zone di guerra
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“I bambini in guerra non hanno più paura, quando li vedi arrivare in ospedale letteralmente a metà non devi fermarti a pensare perché sennò scappi e impazzisci”. Marco, 40 anni,  mi guarda, e con una normalità che mi lascia senza parole mi racconta perché dieci anni fa un giorno è partito dalla provincia di Varese ed è diventato il clown Pimpa, il clown che porta il sorriso ai bimbi della guerra.
 
I suoi occhi brillano quando parla dei ‘suoi’ bambini quelli di Baghdad, quelli di Gaza con cui dice “ho un rapporto infinito, senza fine”. Un naso rosso al collo, una naso che dimostra i tanti viaggi, un naso “che per me è una corazza”, un po’ di magia  e i bambini tornano bambini “perché ognuno di loro è come un fuoco, le macerie della guerra possono coprire ma non spegnere la fiamma”.  Sorride, gesticola, usa il corpo, fa delle smorfie, non sta fermo un attimo mentre mi racconta di se ma soprattutto dei bambini ha il viso serio ma anche felice, tanto felice, quando mi racconta di Shamila. Sopravvissuta al crollo della sua casa, alla morte di tutta la sua famiglia, non parlava più a causa del trauma, un giorno però nella sua stanza è entrato lui, il clown Pimpa, “armato” di naso rosso e magia ed è successo uno di quelli che lui definisce “i miracoli della guerra”.  Lo sento parlare, raccontare e il suo viso si apre in un sorriso grande che riempie tutta la faccia, tutta la stanza “non so cosa si possa vincere di più nella vita che vedere una bambina che torna a parlare, a sorridere - mi dice  - sarei potuto morire serenamente un’ora dopo”.

Io non so cosa pensare, lo ascolto e non posso smettere di chiedermi chi è quest’uomo-ragazzo davanti a me che gira le zone di guerra per far sorridere i bambini. Come i più piccoli rimango affascinata da quella valigia, da quel sorriso, sereno, dalla gioia, dalla serenità che trasmette, non è solo magia o meglio è una realtà che sa di magia. Lo saluto e davanti agli occhi, nelle orecchie, lo vedo tra le macerie di Gaza con il suo naso rosso, in mezzo alle macerie usate come un palcoscenico ma soprattutto sento le risate di quei bambini e mi faccio conquistare da questa che sembra una favola.  

Questa è una valigia speciale con scritto ‘il clown Pimpa’ ma cosa c’è dentro e chi è il clown Pimpa?

Questa è una valigia che contiene tante magie e con questa valigia di cartone da tanti anni parto e vado nelle zone di guerra a portare, a regalare un sorriso ai bimbi. E’ una valigia a cui sono molto affezionato perché era del mio non Pim - da qui il mio nome Pimpa - e contiene i giochi che faccio fare ai bimbi.
Riuscire a strappare un sorriso ai bambini in zone di guerra è il significato grande di essere clown, perché il clown non è nient’altro che una distrazione e in queste situazioni prendere i bambini distrarli e portarli via dal loro contesto è il successo più grande per un clown poi ci sono medici e psicologi che lavorano per guarire questi bambini. Pensate che a Gaza un bambino di 6 anni ha già vissuto tre guerre pesantissime e vive la quotidianità di Gaza che è una grande prigione soprattutto per i bambini.

Tu hai fatto decine di viaggi tra Gaza, Iraq, Palestina che cosa ti ha spinto un giorno a partire dalla provincia di Varese e a diventare il clown Pimpa che porta un sorriso ai bimbi in guerra?

All’inizio è stata una curiosità grande  con la ‘c’ maiuscola di vedere queste zone del mondo, perché sono convinto che te le puoi far raccontare dai migliori  giornalisti e storici ma alla fine se ci vai ci metti il naso, il cuore e lo stomaco non dico che li capisci  ma porti a casa di più la realtà.  Quando sono stato la prima volta in Giordania 10 anni fa, sempre a fare il clown in un grande oratorio che si apriva, ho conosciuto questi sacerdoti del Verbo Incarnato e da lì è iniziata una collaborazione che dura da sempre e penso che andrà avanti ancora per molto. Questi sacerdoti hanno le chiese nelle zone di guerra e loro mi hanno chiesto di andare a Gaza a Baghdad e se è possibile andrò in Siria e dalla chiesa poi si parte e il clown va in giro.

Come si fa a far sorridere un bambino che vive tra le macerie, che ha nelle orecchie il rumore delle bombe? Basta davvero un po’ di magia e un naso rosso?
Non è così difficile, tu devi immaginare che un bambino in guerra è una maceria, ma sotto sotto le macerie c’è un grande fuoco:  mentre una maceria di solito spegne tutto non riesce a spegnere la fiamma del bimbo.  E io ti assicuro che anche nei momenti in cui la guerra è più dura, come due anni fa a Gaza, io arrivavo in un’ora di tregua e i bambini erano subito pronti a sorridere anzi erano loro che davano forza a noi. In quei momenti lì il clown funziona di più per gli adulti perché i bambini la speranza non la perdono mai, invece quando vedi tutto distrutto è chiaro che come adulto la perdi, poi più sei avanti con gli anni più vedi difficile una ricostruzione in queste zone. Quindi arrivare e fare uno spettacolo, tirare fuori i bambini dalle macerie, farli divertire, era una cosa grande, a volte c’era più pubblico adulto che di bambini. Pensa che è capitato tante volte, ed è uno dei segni negativi della guerra, che durante uno spettacolo ci fossero dei bombardamenti e i bambini sai cosa mi dicevano? Marco vai avanti. La cosa terribile è che non hanno più il riflesso incondizionato della paura. Quando cade una bomba è una cosa da matti e io personalmente, anche se ne ho sentite tante, ho quel riflesso, quello scatto, i bambini no, non ce l’hanno più e questo dice quanto sono segnati. Non riesco a raccontarti cosa significa tornare in questi posti perché non ci sono parole. Con i bambini di Gaza ho un rapporto di sangue: io li vedevo, giocavamo, poi arrivava la prima bomba scappavamo e io non sapevo se li avrei rivisti il giorno dopo o due giorni dopo. Io mi diverto con tutti i bambini, ma con quelli ho un rapporto infinito, senza fine.

Tu hai paura?

Da un lato c’è un po’ l’essere clown, il naso rosso è un po’ una maschera, una corazza, e quindi quando sei là magari in ospedale e ti capita di vedere le persone arrivare letteralmente a metà, se ti fermi a pensare non ce la fai e impazzisci. La paura si sconfigge anche vivendo in comunità perché non devi mai isolarti, non devi mai chiuderti e ci si fa coraggio considerando che i bambini il coraggio ce l’hanno sempre. Sono terrorizzati ma riescono a trasmetterti forza.

Tra i tanti bambini che hai conosciuto c’è una storia che ti è rimasta particolarmente nel cuore?

Una storia è quella di Shamila una bimba. Siamo in ospedale durante la guerra e  i bimbi che arrivavano erano tutti in situazioni drammatiche senza braccia e gambe. Dall’ambulanza è scesa una bambina che aveva braccia e gambe e per noi che vedevano solo gente a metà stava bene nel senso che ce la poteva fare e ci ha dato una grande speranza che è la parola fondamentale in guerra. Succede che la bambina viene operata, va tutto bene, ma non parlava più a causa del trauma, aveva infatti perso mamma, papà e fratelli nel crollo della sua casa, era l’unica che avevano tirato fuori dalle macerie. Il vero dramma della guerra, ancora più delle gambe spezzate e amputate è il trauma che vive ogni bimbo e ogni persona che vive la guerra. I medici non riuscivano a farla parlare e come ultima spiaggia hanno mandato dentro la stanza me, ho fatto una piccola magia , la fiammella si è riaccesa e la bambina è tornata a parlare. Queste sono cose che ti danno talmente tanto che io avrei potuto perdere la mia vita un’ora dopo sotto le bombe e l’avrei persa serenamente. Non sai cosa puoi vincere di più nella vita di vedere una bambina che torna a parlare e a sorridere: questi sono i miracoli che capitano nelle guerre. 
Ti racconto di un’altra cosa completamente diversa: parliamo di una famiglia che ha perso tutto in guerra e il papà è caduto in depressione, la mamma aveva già alcune disabilità e tutta la famiglia è ricaduta sulle spalle di una bambina Amani che aveva 9 anni e questa bimba quando poi abbiamo deciso di aiutarla mandava avanti tutta la famiglia da sola. La casa non ce l’avevano più, avevano messo insieme delle lamiere: il papà non si muoveva, la mamma aveva grosse difficoltà, tre sorelline piccole disabili e un fratellino grande disabili. Questa è la storia di una ragazzina incredibile altro che premio Nobel per la pace, una valanga. Stai nelle macerie ma poi ci sono queste storie, queste gemme. Con l’associazione abbiamo aiutato il papà a tornare a lavorare e ha sistemato anche la casa.

Forse questa è la risposta a chi si chiede ma chi te lo fa fare?
Ormai il perché è semplicissimo, è come stare a casa, passo più tempo là che qui in Italia. Per me tornare è una festa.

Prossimo viaggio?
Se tutto va bene torniamo a Bagdad e passiamo là un mese e mezzo e se sarà possibile ci sposteremo al nord. Ma la zona di Mosul ora è veramente complicata.