Se Antonio Bigotti è ancora un buon sindaco va chiesto ai cittadini di Savignone. Se amministra bene il bilancio e fornisce risposte adeguate alle necessità dei valligiani o fa troppe feste estive va sempre domandato alla sua popolazione. Gente che dopo cinque anni di governo l’aveva votato con una percentuale superiore all’80% dei consensi. Ma quella è un’altra storia.
Dopo aver fatto la questua per le casse del suo Comune sulle scalinate della cattedrale genovese di San Lorenzo e aver spiegato pubblicamente il gesto al ministro Delrio, ora, l’ultima bigottata: chiudere le scuole al primo giorno della ripresa in protesta contro i mancati cantieri del governo che dovevano garantirne la sicurezza nonostante le infinite promesse e le svariate partecipazioni a bandi pubblici.
Regalerà qualche risultato? Probabilmente, no. Solo folclore e un po’ di disagi alle famiglie? Forse, sì. Tuttavia il sindaco di Savignone senza risorse e senza santi in paradiso da una settimana ha portato il suo paese su tutti i media nazionali. Ha fatto conoscere il suo borgo, ha fatto discutere, ma ha fatto parlare. E in un’epoca in cui il presidente del Consiglio viaggia di tweet non è proprio poco.
Viene da pensare così che, almeno qualche volta, sia meglio un sussulto d’orgoglio, anche a beneficio del proprio ego, che il grigiore dell’anonimato di chi ammirevolmente compie il proprio mandato in fascia tricolore ma continua a restare in silenzio davanti a chiusure di uffici postali, bancari, strade dissestate o bus tagliati sancendo il funerale dei piccoli paesi.
Antonio Bigotti ha davanti ancora due anni e mezzo da sindaco e non è escluso che nei prossimi mesi porti le chiavi del municipio in Prefettura per amplificare ancor più quelle che lui, seppur non leghista, chiama rapine dello Stato. Tutto mentre Marco Doria, sindaco di Genova e della Città Metropolitana a cui rispondono 67 colleghi della provincia, non più tardi di qualche giorno fa agli amministratori di Valpolcevera ha ripetuto le sue convinzioni: “Non dobbiamo farci trascinare nell’antipolitica. In ogni ruolo istituzionale ci sono uomini e donne che abbiamo eletto. E se ora noi sindaci dobbiamo scontare difficoltà, teniamo duro. Portare i libri a Roma sarebbe peggio”.
Già, lodevole. Ma i nonni insegnavano pure che quando ti pestano in piedi devi dire “ahi”. Se a farti male sono quelli che nel tuo ruolo ci sono già stati è ancora più doloroso. È per questo che prima della rassegnazione definitiva ci stanno ancora le bigottate, manifesto di chi non vuole arrendersi. Non ai libri dell’entroterra in tribunale. Ma alla sua lenta estinzione.
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