Il carico arrivava via mare dalla Germania e dalla Gran Bretagna, veniva spostato su chiatte e da qui raccolto in cuffe da 150 chili l'una e 'camallato' passando sugli scaladroni, assi sospese che fungevano da passerelle. Per decenni la storia di Genova è stata soprattutto questo. Certo, con varie innovazioni tecnologiche in mezzo, ma con un protagonista fisso: il carbone. E oggi, nel porto più importante d'Italia, si chiude di fatto un'era. L'Interlink Veracity attraccherà venerdì e sbarcherà al Terminal Rinfuse le ultime 20 mila tonnellate di carbone. Serviranno a chiudere il ciclo produttivo della centrale Enel, quello scatolone che da quasi 90 anni sfida la superbia della Lanterna, standole lì davanti e facendosi odiare da tanti genovesi. Via la centrale, via anche il carbone. Niente più montagne scure, dune invadenti che ora sanno di morte e di vecchiume, ma che per decenni hanno rappresentato una linfa vitale per l'economia della città.
Dalla prima rivoluzione industriale al boom del dopoguerra, il combustibile nero è stato il carburante di tutto il sistema porto. Come procedevano le navi a vapore, se non col carbone? Come potevano funzionare gli impianti affacciati sul mare, se non grazie a quella centrale termoelettrica costruita apposta sul finire degli anni Venti? Di certo non finisce l'epoca dei combustibili fossili, perché il greggio rappresenta ancora la metà dei traffici portuali genovesi. Ma finisce, questa sì, l'epopea dei carbonê, o carbonin, quelli che in pratica erano i camalli del carbone.
In realtà, i membri dell'odierna compagnia Pietro Chiesa non smetteranno di farsi chiamare così. Anche perché, ricorda il console Tirreno Bianchi, “un po' di roba nera arriverà sempre”. Nostalgia, forse, o semplice rispetto per una storia lunga e importante. Fino agli inizi del Novecento si lavorava in condizioni durissime, tra fumi, fuliggine, sudore e pericoli costanti. Il carbone dava da mangiare a migliaia di persone, oltre 7 mila nei momenti più floridi. Furono uomini come Gino Murialdi e lo stesso Pietro Chiesa a condurre la lotta per i diritti nella caldissima Genova socialista.
Oggi, invece, si combatte per mantenere i posti di lavoro. Proprio la centrale a carbone, tra diretti e indotto, occupa circa 200 persone che andranno in qualche modo ricollocate. E, forse, l'addio al carbone segna simbolicamente la morte della Liguria industriale, quella di Ilva, Ansaldo, Fincantieri, ma anche Bombardier, Piaggio, Ericsson e Siemens. Realtà vecchie e nuove, accomunate da una sola crisi certificata dai numeri: ogni anno, mille posti in meno. E la nuova era della Superba, se c'è, ha ancora i contorni sfuocati.
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