Quello che sconcerta di più nella vicenda delle “spese pazze” in Regione, una specie di slavina sulla politica regionale, è il totale disinteresse della politica stessa.
Oramai quasi quotidianamente da anni assistiamo all'esplodere di questo processo che inchioda una intera classe dirigente regionale, senza distinzione di partiti, correnti, statura di consiglieri, assessori, presidenti, vice presidenti, con rare eccezioni, e non c'è alcuna reazione"politica" consistente.
E' come se quei reati, contestati dalla Procura a decine di personaggi, per decine di milioni di euro, fossero in un specie di limbo. Gli indagati, poi regolarmente diventati imputati, sostengono più o meno efficacemente, attraverso le loro difese, che era il sistema a farli sbagliare, inducendoli in errore nel momento in cui "consumavano" i soldi pubblici per spese in qualche modo private.
La Procura, ed ora su un altro versante anche la Corte dei Conti, sostengono, invece, che si tratta di vere e proprie violazioni del codice penale e di fatti che costituiscono reati per i quali si procede, essendo la responsabilità penale individuale, ascrivibile, quindi, ad ogni singolo consigliere. E quindi alla stragrande maggioranza del Consiglio.
I politici, insomma, si difendono sostenendo che così si faceva, che i gruppi regionali e quindi i loro componenti avevano questo atteggiamento quasi "rituale". Riempivano le buste di scontrini e addebitavano il costo alla Stato Pantalone, cioè a tutti noi, in quanto quelle spese erano compiute nella loro sacra funzione di rappresentanti del popolo regionale.
L'accusa sostiene, invece, che ordinarsi le bottiglie di vino buono, comprasi gli slip, pagarsi la beauty farm, “spararsi” 77 mila euro di pranzi e cene a piè di lista, con la cassa dei rimborsi pubblici, è un reato. E che reato!
I cittadini si sono perfino assuefatti a questa situazione e non si stupiscono neppure più. Non battono ciglio anche se _ come è successo negli ultimi giorni_ l'accusa arriva a un personaggio specchiato come Gb Pittaluga, l'ex assessore al Bilancio, fior di economista, docente universitario, al servizio sia della giunta Biasotti che di quella Burlando.
Tutto ciò incomincia a non essere più reale, quasi la vicenda si consumasse in una sospensione del tempo, dello spazio e, quindi anche della pubblica coscienza.
Ciò preoccupa molto perchè la politica dovrebbe affrontare questo tema così delicato, così sensibile chiarendo almeno all'interno della sua cerchia di che cosa si tratta. Un colossale equivoco o un colossale scandalo?
Invece la politica, tutta impegnata nelle sue beghe, se ne strafrega e la questione rimane a bollire in un pentolone giudiziario dove ognuno dei tanti casi raggiunge la sua cottura: ci sono consiglieri oramai scomparsi dalla scena definitivamente, altri rimasti con questa zavorra nelle tasche, altri ancora incerti e sospesi tra le future decisioni processuali, le prescrizioni dei reati, la distrazione della pubblica opinione, questo inspiegabile sonno della ragione e l'ipotetica appllicazione futura della legge Severino..
Quando lo scandalo nella prima fase esplose regnava Claudio Burlando, che dall'alto della sua grande potenza, non si sporcò nè le mani, nè la lingua, salvo i rituali commenti garantisti.
Ora forse sarebbe il caso che i partiti, se ancora esistono, dessero un colpo. E poi ci si allarma se più del 50 per cento non va a votare.
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Le "spese pazze" in Regione e la politica sorda e muta
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