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Intervista alla candidata genovese a Palazzo Marino
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Una casetta liberty in pieno centro a Milano, un viale di ghiaia ombreggiato da una pergola, vetri colorati, una montagna di libri e arredi minimal. Il gusto raffinato della genovese Francesca Balzani si nota anche dall'accoglienza pacata, mai sopra le righe.

Come la sua scelta di candidarsi alle primarie del centrosinistra per il Comune di Milano, in antitesi con l’uomo-Expo Giuseppe Sala e in continuità con la giunta di Giuliano Pisapia, di cui è vicesindaco e assessore al bilancio.

E nella sua casa meneghina Francesca Balzani mi riceve per raccontare a Primocanale la sua nuova sfida. Senza scordare il rapporto con la città natale e la lezione delle primarie in Liguria.

Francesca Balzani: genovese, vice sindaco di Milano e assessore al bilancio. E ora ha accettato sfida alle primarie per la leadership.

Sì, è stata una scelta maturata con molta cura dentro me stessa e confrontandomi con gli altri. Oggi inizio la raccolta firme, sono molto decisa.

Sicuramente sfiderà Sala, che ha portato avanti l’esperienza di Expo 2015. Perché ha sciolto la riserva con qualche giorno di ritardo?

Ma Sala non ancora ufficialmente candidato, in realtà l’ho anticipato.

In effetti manca solo l'atto formale. Parliamo di quello che lei ha fatto per Milano con Pisapia. In particolare avete varato due strumenti innovativi: bilancio partecipativo e baratto amministrativo...

Sì, è stata grande innovazione. Per la prima volta una grande città italiana ha operato un vero coinvolgimento dei cittadini sulla spesa del Comune. In ciascuna delle nove zone di Milano la gente è stata invitata a decidere, e non solo a discutere, su come spendere un milione euro per ogni quartiere. Si sono confrontati, ciascuno ha portato la sua proposta. E poi, alla fine, quella bella prova di democrazia che è la discussione finale seguita dal voto. Un’esperienza magnifica.

E il baratto amministrativo...

Con il baratto i cittadini che hanno morosità incolpevoli (multe non pagate, affitti, case popolari) possono partecipare a progetti di pubblica utilità e rottamare i loro debiti. Per esempio prendersi cura di un’area verde o imbiancare un muro. È anche questo un modo per partecipare e sentirsi protagonisti città in cui si vive

Secondo lei sono pratiche esportabili anche a Genova?

Il bilancio partecipativo dovrebbe diventare un’esperienza diffusa ovunque. Ci chiediamo spesso come coinvolgere giovani e farli diventare cittadini attivi. Bisogna partire dalle esperienze che migliorano il quartiere in cui si vive per avere cittadini desiderosi di essere protagonisti e non solo spettatori dell’amministrazione.

Cosa ha portato a Milano della sua cultura genovese?

Fin da subito mi hanno preso in giro per l’oculatezza nell’uso delle risorse. Noi genovesi siamo portatori di due regole importanti: l’attenzione ai soldi e a non buttare via niente di ciò che può funzionare. È importante conservare il senso patrimonio pubblico e dell’ambiente. Uno dei punti su cui abbiamo discusso molto qui a Milano è la lotta allo spreco di cibo. Abbiamo lavorato molto con le scuole e con le varie comunità.

Invece cosa servirebbe a Genova della cultura meneghina?

Milano ha la cultura dell’innovazione, è attratta dalle sfide e dal cambiamento. Ha voglia di modificare le cose perché c’è sempre un modo migliore per farle, e questo è un punto di grandissima forza, un valore che deve essere condiviso da altre città che tendono ad adagiarsi su ciò che c’è già. Così, alla lunga, si rischia di sprofondare.

Lei si candida alla poltrona di primo cittadino dopo Pisapia. Poco fa ho chiesto a un tassista che cosa domanderebbe al futuro sindaco. Mi ha risposto: “Gli chiederei di fare un giro in taxi in ogni quartiere per vedere com’è la vita in strada a Milano”. C'è uno scollamento tra Palazzo Marino e la vita reale dei milanesi?

Intanto mi faccia fare una battuta: la ‘poltrona’ da un’idea di comodità inconciliabile con le responsabilità connesse al ruolo del sindaco. La città si può girare in tanti modi, anche a piedi, in bici, in tram. In taxi, però, hai la possibilità di raccogliere racconti di umanità bellissimi. Non dimenticherò mai un tassista milanese che aveva in auto un libro e una penna aperta per viaggiatori che volessero raccontare qualcosa di sé. I tassisti sono protagonisti importanti della vita cittadina. E poi no, non c’è nessuno. Necessariamente politica è fatta di totale e assoluta apertura, ascolto, attenzione per città e per le persone. Ogni città, anche la più grande, è essenzialmente una comunità di individui che rappresentano forze diverse. La politica deve dare a tutti, è fatta di ascolto, attenzione, occhi aperti.

A proposito di strada: quella tra Milano e Genova allontana le due città. C’è ancora la vecchia camionale, i treni hanno tempi di percorrenza lunghissimi. Da Milano la visuale è quella di una Liguria isolata?

L’alta velocità ha cambiato il modo di muoversi in molte città, a Genova ancora no. In treno ci vogliono due ore, la “Serravalle” è piena di curve. Tra l’altro l’aeroporto vive un momento di difficoltà che fa fatica a superare. Da tanti anni Genova soffre il problema di un collegamento efficace, sono temi arcinoti. I genovesi rischiano di trovarsi in posizione marginale. C’è un’offerta turistica importante, ma l’accessibilità rimane un problema.

Prima di parlare di primarie, perché i dati di Expo non sono stati ancora resi noti?

Si sapranno a breve, al di là dei numeri abbiamo visto un grande successo di partecipazione.

Forse si tratta di una scelta strategica di Sala in vista della campagna elettorale?

No, sono fiduciosa. È necessaria la massima trasparenza, ma non ho alcun dubbio sul fatto che a breve i numeri verranno diffusi.

Dopo quello che è accaduto in Liguria, si fida ancora delle primarie? Tra seggi annullati e poca trasparenza, non teme che in Lombardia si possano ripetere fatti del genere?

In Liguria si partiva già da un clima negativo. Anche a me fu chiesto di partecipare per le regionali. Dico la verità, ormai vivo da tanti anni a Milano, sarebbe stato difficile lasciare tutto alla vigilia di Expo e buttarmi in questa avventura. Oltretutto miei figli vivono qui da anni, sarebbe stato impensabile per me prendere e andare in Liguria. Comunque, il clima era estremamente negativo. Prima ancora che partissero le primarie, c’erano divisioni profonde, schieramenti opposti e quotidiani attacchi personali. Ce l’avevano addirittura con me, anche se non ero candidata, forse come forma di prevenzione. Ha peggiorato la situazione il fatto che non si è posta attenzione al confronto ad armi pari. Le primarie sono belle non solo se sono inclusive e democratiche, ma anche se il Pd le protegge, cioè fa sì che candidati si possano misurare liberamente sui programmi senza diktat, senza candidature imposte.

In Liguria, però non è successo. Di chi è stata la colpa? Della leadership? Dei candidati?

È stato il risultato di tanti fattori. Ogni volta che le primarie servono a individuare un candidato, il Pd dovrebbe trattarle per quello che sono. E cioè un preziosissimo strumento confronto democratico. Le imposizioni vanno lasciate fuori. I diktat hanno impedito un confronto sereno, che ha superato la normale e dovuta tensione, e soprattutto ha impedito la ricomposizione dopo la chiusura delle urne.

Non teme possa succedere lo stesso a Milano? Sala è stato imposto da Renzi nonostante il Pd avesse altre idee.

Non credo sia stato imposto, penso che Renzi abbia tutt’altro in mente che imporre nomi alle primarie. È molto attento a questo elemento identitario del Pd, tutto farà tranne questo. Anche per le primarie milanesi è necessario avere rispetto, soprattutto per gli elettori. Il succo di tutto è questo.

La sua è anche una sfida a Renzi stesso, perché non si conforma alla corrente dominante. Se dovesse vincere le primarie ed eventualmente le Comunali, come cambierebbe la geografia del centrosinistra?

Non c’è nessuna sfida al renzismo, Pisapia non ha avuto alcun ruolo nella scelta, che rimane completamente mia. Anzi, per me il voto di Pisapia è un voto da conquistare come tutti gli altri. Liberiamo il campo dagli schemi correntizi d’antan che fanno male a tutti. Voglio confrontarmi prima di tutto con gli elettori. Però serve la lealtà di tutti: vinciamo le primarie solo se mettiamo in condizione i cittadini di capire chi sono i candidati e cosa propongono.

Secondo lei la figura del commissario Ermini per il Pd ligure era necessaria?

Direi di sì, si sono accumulati troppi veleni, il clima andava lentamente ricomposto. È un po’ una sconfitta, ma ci voleva. Le lacerazioni sono sempre improvvise, le ricomposizioni invece lente. Richiedono molta buona volontà.

Oltre a lei e Sala, c’è il rischio di un outsider qui a Milano?

Non è un rischio, ma una possibilità. Non abbiamo molto tempo. Si vota il 7 febbraio, è tutto molto avanti coi tempi. Non ho paura di confrontarmi con altri candidati. Anzi, mi piace molto. Del resto anche la mia candidatura ha cambiato un clima da storia già scritta. E ogni volta che c’è una storia già scritta, è molto bello prendere penna in mano.

Siamo partiti dal bilancio partecipativo, un sistema innovativo che ha avuto riconoscimenti anche dall’opposizione. Lei ha maturato quest’esperienza anche al Parlamento Europeo, dove era in commissione bilancio. È servito di più lavorare a Bruxelles o nello studio di Victor Uckmar?

Uckmar mi ha insegnato a non confondere il pubblico col privato, a tenere ben distinta la sfera personale, e a leggere tutto fino a ultima virgola senza fidarmi di racconti altrui. D’altra parte, noi continuiamo a sottovalutare l’importanza delle decisioni europee in vita tutti i giorni. Il lavoro a Bruxelles mi ha permesso di conoscere a fondo gli equilibri europei. Ho capito cosa si può fare con i fondi europei per essere migliori e più competitivi. Il punto di partenza è capire come funziona l’Unione, il nostro Paese fa ancora fatica. E poi in Europa ho imparato ad ascoltare e trovare una composizione. L’Europarlamento rappresenta paesi diversi, il nord e sud dell’Europa, culture differenti. Trovare l’equilibrio e la conciliazione è sempre la chiave per risolvere i problemi più grossi.

Si sente un po’ come un cervello costretto a migrare a Milano perché Genova non le ha permesso di realizzarsi?

No, ho vissuto tanti anni tra Genova e Milano. Ora mi sono stabilita per tante ragioni, il mio primogenito è nato qui, i miei figli vanno a scuola qui. Non sono scappata o emigrata, piuttosto è la vita che mi ha portato qui.

Tornerebbe a Genova?

In realtà non andrei via da Milano: è una città che dà soddisfazioni, hai sempre la sensazione di poter fare tante cose e dare il meglio.

Possiamo fare lo stesso augurio per Genova?

Non lo so. Genova vive una fase difficile per tensioni non ancora risolte. Dovrebbe trovare il coraggio di guardare avanti senza arroccarsi su cose che già ci sono. Deve essere più coraggiosa nel cambiamento. È duro, rischioso, faticoso. Ma serve più grinta.