politica

Il commento
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“Oddio, diventiamo come gli altri!”. Da qualche giorno, da quando s’è cominciato a ipotizzare di cambiare alcune regole interne, molti “grillini” vivono l’incubo dell’omologazione. Ma è davvero così? Davvero, come reputano i custodi dell’ortodossia pentastellata, rimuovere il vincolo dei due mandati elettorali, piuttosto che consentire agli eletti di incassare l’intera indennità di mandato, mette a repentaglio la “purezza” del Movimento?

Personalmente non sono di questo avviso. O meglio, si tratta di stabilire che cosa l’M5S vuol fare “da grande”. Se l’obiettivo è quello di incaponirsi nel ruolo dell’opposizione purchessia, evitando ogni e qualsivoglia coinvolgimento di governo, nazionale o locale, se non a patto di essere maggioranza autonoma, allora preservare le regole così come sono, rigide e in alcuni casi anche un po’ insensate, ha una propria logica. Però, poi i grillini non si adontino se li si accusa di voler godere di una rendita di posizione. Essere “contro” è molto più semplice e comodo che spaccarsi le meningi per trovare soluzioni ai problemi. Soprattutto quando i problemi mettono di fronte a una realtà difficilmente gestibile con alchimie puramente figlie dell’accademia, di fatto irrealizzabili.

Non c’è dubbio, come ebbe a dire Beppe Grillo, che i 5 Stelle hanno in questo Paese un merito storico: hanno incanalato l’incazzatura feroce degli italiani nell’alveo della democrazia, offrendo sul mercato elettorale un’opzione senza la quale la rabbia avrebbe potuto, altrimenti, sfociare nella violenza, se non nel terrorismo. Ora, non è che quell’incazzatura sia smaltita, anche perché purtroppo non ne sono venute meno moltissime delle cause, ma non c’è dubbio che, pur nella sostanziale tenuta elettorale, il Movimento sia chiamato a fare un passo in avanti. Non ritengo che i Di Maio o i Di Battista siano stati folgorati sulla via dell’ansia da potere. Piuttosto, immagino che stiano facendo un esercizio di realismo. Pur nella diversità del dna “grillino”, sentono giunto il momento di rispondere alle aspettative di quel quarto di cittadini, se non un terzo, che ormai da tempo chiedono ai pentastellati di assumersi la responsabilità del governare.

Questo è uno dei punti chiave della recente storia del Movimento. Quando ha rifiutato le profferte di Pierluigi Bersani, nel 2013, e i successivi abboccamenti tentati da Enrico Letta prima e da Matto Renzi poi, c’era da stupirsi dello stupore. In campagna elettorale i “grillini” avevano detto chiaro e tondo di essere indisponibili a delle alleanze e ad urne aperte hanno rispettato questo impegno. In Italia non siamo (più) abituati a forze politiche che fanno quanto annunciato in precedenza, ma questo è accaduto. Semplicemente questo.

Le cose, però, evolvono e impongono dei cambiamenti. Nel sentimento di moltissimi elettori, la non sopita incazzatura verso il sistema che tuttora gestisce il Paese non si accontenta più di avere a disposizione una consistente forza di opposizione. Il cittadino comune chiede il salto di qualità e chiede che l’M5S renda possibile un’opzione di governo, nazionale e locale, più aderente alle proprie aspettative. E poco gli importa, come dice un certo tasso di delusione che il Movimento ha già dovuto pagare in termini di consenso, se questo debba avvenire attraverso delle alleanze o superando il limite dei mandati o spedendo in soffitta il principio di non accettare più denaro di quanto si ritiene necessario per assolvere al mandato elettorale.

Peraltro, è utile spendere qualche parola anche su questi due argomenti. Primo: i mandati elettorali. Anche considerando il meccanismo di selezione adottato (sono arrivati nelle istituzioni non solo illustri sconosciuti, ma soprattutto gente che non sapeva da dove si comincia a svolgere un ruolo politico-amministrativo), ha senso che i pentastellati rinuncino a personale che nel frattempo ha maturato esperienza e capacità solo perché si sono dati la per ora inviolabile regola del “due non più di due”?

Secondo: il taglio degli “stipendi”. Alla fine lo stesso Beppe Grillo ha ammesso a denti stretti che con 3.000 euro al mese è difficile vivere e fare politica a Roma. Del resto, l’onestà del politico non si declina in base al suo emolumento, ma sulla scorta dell’uso che ne fa e, soprattutto, dall’impiego dell’altro denaro pubblico, la massa di miliardi che vengono mossi a livello statale e regionale. In questo Paese il problema della paga dei politici non si sarebbe mai posto se non ci fossero state la corruzione, gli arricchimenti personali e scelte-non scelte che hanno lasciato incancrenire i problemi, trascinando al sacrificio quotidiano i cittadini anche al netto della crisi economico-finanziaria internazionale.

I “grillini” stanno pensando, attraverso alcuni loro autorevoli esponenti, di giocarsi la sfida del cambiamento e di porsi al servizio della comunità non solo dagli scranni dell’opposizione. Provino, tutti i sostenitori e i simpatizzanti del Movimento, ad avere fiducia in se stessi, a rendere possibile il teorema secondo cui si può combattere il sistema dall’interno, facendone parte senza piegarsi ai suoi peggiori costumi.

Un banco di prova lo avranno, entro il 2017, giusto a Genova (salvo scrolloni), e prim’ancora in una grande città ligure come Savona. Le difficoltà enormi che deve fronteggiare il Pd e quelle non superate dal centrodestra, nonostante l’inattesa vittoria alle recenti regionali, lasciano uno spazio politico importante per opzioni diverse. Ma siccome per vincere occorre convincere l’elettore moderato, sono così certi gli “integralisti” del “grillismo” che la via giusta sia quella di rimanere fedeli alle loro regole, con il carico di incertezze che consegnano davanti agli occhi di tanti potenziali sostenitori? C’è un personaggio genovese, il consigliere comunale Paolo Putti, che per l’M5S da solo ha fatto molto più di tanti altri messi insieme. Semplicemente utilizzando la forza degli argomenti, anche quando non sono condivisi dagli interlocutori, e mai ricorrendo a posizioni “urlate”. Un po’ come a Roma è accaduto con Di Maio, Di Battista e non solo. O come sta capitando in Regione Liguria con Alice Salvatore e altri componenti del gruppo consiliare.

Stiano sicuri, i “grillini”: saranno gli altri partiti ad accusarli di cambiare per omologarsi. Ma valutino che sarà strumentalizzazione, dettata dalla paura. Dimostrino che la caramella si può assaggiare, senza per questo farne indigestione accorgendosi ch’è dolce. Ai cittadini andrebbe benissimo, infatti, avere una sponda in più sulla quale contare al momento di scegliere da chi farsi rappresentare nei Comuni, nelle Regioni, in Parlamento. E chissà che una competizione così arricchita non migliori anche gli altri. In politica come nella vita, per sbattere la porta c’è sempre tempo.