politica

L'editoriale
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Abuso d’ufficio. E’ l’ipotesi di reato identificata dalla Procura di Savona per aprire un fascicolo sul caso del bitume che dovrebbe essere stoccato a poche decine di metri dal Priamar. In piena area portuale, sì, ma anche a pochi passi dal terminal traghetti, all’interno di un’area che la città ha destinato a finalità turistica, tanto da aver autorizzato anche un’operazione immobiliare chiamata Regent – con relativo strascico di polemiche – e di alto profilo qualitativo. Al momento l’ufficio giudiziario procede contro ignoti, ha iniziato l’acquisizione degli atti e si vedrà se l’iter burocratico seguito dalla pratica presenta delle falle. La cosa rimarchevole è che la magistratura s’è attivata “motu proprio”, cioè non c’è alcun esposto, alcuna denuncia, alcuna segnalazione che abbia acceso la miccia dell’inchiesta. E’ bastato il clamore della disputa di questi giorni, condita dalla raccolta di oltre seimila firme di savonesi inferociti.

Bene. Ma poniamo il caso che al termine dei suoi accertamenti la Procura dica che non c’è stato nessun abuso d’ufficio, che tutto è filato via come l’olio senza che quest’olio sia stato utilizzato per far andare meglio qualche meccanismo che invece avrebbe potuto bloccare, o ritardare, la pratica. Se i comportamenti sono stati irreprensibili e a dirlo saranno gli inquirenti togati significherà che il bitume a pochi metri dal Primar ci può stare? Ovviamente no, ma è utile dirlo subito a scanso di equivoci e anche perché, nell’eventualità, non mancheranno le anime candide pronte a sostenerlo. Il bitume in quel punto di Savona è una cazzata e tale rimarrà anche se la giustizia assevererà che non sono avvenuti degli illeciti, che nessun reato è stato commesso.

In questo meraviglioso Paese, del quale la Liguria e le sue principali città sono il paradigma, bisognerebbe probabilmente aprire una Procura contro le cazzate. O le inopportunità politiche. Ben poca della classe dirigente rimarrebbe in circolazione, al netto dell’assenza di pratiche fraudolente. La prima contestazione che nello specifico della vicenda verrebbe mossa è senza dubbio la violenza al buon senso. Ma non mancherebbe il “reato” di presa in giro. Proviamo a riannodare i fili della storia.

Tutto comincia a fine luglio 2010, quando l’allora presidente dell’Autorità portuale di Savona, Rino Canavese, in coda a un comitato portuale piazza la stabilizzazione del traffico di bitume. Se ne occupa un’azienda, la Bit, della quale una grossa partecipazione è detenuta dal Gruppo Gavio. E una volta dismesso il ruolo pubblico, dove ritroviamo Canavese? A lavorare nel Gruppo Gavio… Chiedersi se questo clamoroso conflitto di interessi sia nato prima o dopo ha una valenza politica che prescinde da qualsiasi altra considerazione di ordine giudiziaria. E che resta anche se i codici, penale o civile che sia, non sono stati violati.

Incastonato come una perla c’è poi il caso della cosiddetta Via, la valutazione di impatto ambientale. Una procedura che serve per verificare la compatibilità di un intervento con tutto ciò che lo circonda. Mi raccontano che il deposito è stato configurato in modo tale da non rendere necessaria la Via. Un trucchetto, come si fa quando non si vuole, che so, superare un certo scaglione di reddito per evitare di pagare più tasse. Tutto legale, per carità. E la Regione Liguria guidata da Caudio Burlando non ha avuto da eccepire. Del resto, lo stesso ente, con lo stesso capo, ha utilizzato il medesimo escamotage per un altro dossier caldo, quello degli Erzelli a Genova. Ma non hanno eccepito neppure il sindaco di Savona Federico Berruti, né il suo partito, il Pd. Berruti, anzi, è incazzato nero come il bitume, perché dice di non aver avuto una sede nella quale poter far valere i propri dubbi sull’operazione, spiegando che la Conferenza dei servizi, dove pure la pratica è passata, è territorio di scelte tecniche, non politiche. Anche Angelo Vaccarezza, allora presidente della Provincia e oggi capogruppo di Forza Italia in Regione, diede il proprio assenso. Da quanto mi risulta, solo il Movimento 5 Stelle e la Lega ebbero da ridire, tanto che oggi Primocanale – “colpevole” di aver risvegliato l’interesse sulla vicenda – viene tacciato di essersi iscritto al partito del no ad ogni cosa, aggiungendo al bitume vicino al Primar giustappunto la questione Erzelli.

Ora, a parte che basterebbe rileggersi le nostre posizioni su temi come il Terzo valico o la Gronda per trovare la risposta a quell’insensata accusa, domando: com’è che, improvvisamente, gli stessi che non avevano alzato un dito adesso chiedono a gran voce la Via, cioè la valutazione di impatto ambientale? In un Paese serio, amministrato in modo serio, una classe dirigente seria e convinta del proprio agire non si accoderebbe ai presunti strepiti dell’informazione: terrebbe il punto, spiegando per dritto e per rovescio le ragioni della propria scelta. Che è stata fatta, è proceduralmente definita – manca solo l’ultimo okay del ministero – e se fosse buona ci direbbe che le cazzate le stiamo dicendo e scrivendo noi. Avrebbe potuto farlo, ad esempio, il presidente dell’Autorità portuale in carica Gianluigi Miazza, il cui silenzio è stato fragoroso, sebbene le aree in questione siano di sua competenza. Forse ha consumato le parole nel difendere come e perché abbia acquistato, c’è chi sostiene a sovraprezzo, il terminal del Gruppo Orsero, costretto a ristrutturarsi e a rinegoziare il debito visto che stava sull’orlo del crac. Alla fine, tuttavia, interpellato da Primocanale, Miazza ha ritrovato la favella. Dispensa rassicurazioni a piene mani, ma poi pilatescamente le stesse mani se le lava, lasciando intendere che comunque toccherà all’azienda preoccuparsi di non inquinare. Come? Accettando determinate prescrizioni. Domanda: le prescrizioni ci sarebbero state, dando per scontato che ci siano, se non si fosse tornati con pesantezza sull’argomento?

Il punto di partenza, peraltro, non cambia: là il deposito di bitume non ha logica e che adesso si faccia esercizio di garanzia non basta a lavare le coscienze o a cancellare i fatti. Né ad evitare che i savonesi si sentano presi in giro. Ma come, prima andava tutto bene e ora, invece, bisogna approfondire? Totò risponderebbe: ma mi faccia il piacere… La stessa battuta devono essersela fatta in Procura, se hanno deciso di andare a vedere che diavolo stia succedendo all’ombra del Primar. Tanto più che non c’è neppure quella clausola occupazionale che, per esempio, ha pervaso il dossier Tirreno Power, a causa del quale, comunque, l’intera ex giunta regionale è finita indagata, a cominciare da Burlando. In questo caso, infatti, i posti che ballano sono 8 diretti e una ventina di indiretti: di questi tempi anche un solo occupato in più è manna, ma bisogna sempre vedere la sostenibilità complessiva di certe operazioni. Qui il saldo è decisamente in rosso, senza bisogno di aver fatto le scuole alte.

Come stiano davvero le cose, peraltro, è già sotto gli occhi di tutti: la primavera prossima a Savona si tengono le elezioni comunali e con mezza città in rivolta c’è poco da stare allegri se ci si chiama, ad esempio, Partito democratico. Seimila e passa cittadini che hanno firmato un documento di opposizione, più tutti quelli che la pensano allo stesso modo pur senza aver sottoscritto alcun atto, sono una quantità di capace di far perdere un’elezione. E allora ecco lor signori correre ai ripari e quasi urlare che ci vuole quella valutazione di impatto ambientale contro la quale hanno brigato, o hanno permesso che si facesse, affinché non ci fosse. Eccoli spedire a Savona Raffaella Paita, capogruppo piddino in Regione nonostante la sconfitta subita, per difendere l’indifendibile giunta regionale della quale faceva parte e che diede il proprio assenso all’operazione bitume senza chiedere, o far chiedere, la Via. Ma si può capire. Canavese a guidare l’Autorità portuale savonese ce lo mise Burlando. E magari il Gruppo Gavio è stato tra i finanziatori del Pd o della liquidata Fondazione Maestrale dell’ex governatore ligure. Forse, perché anche questi dettagli, chiamiamoli così, affogano nel bitume. Seppelliti da una risata, se non ci fosse da piangere.