politica

Regionali: un esercito di indecisi, previsioni impossibili
4 minuti e 46 secondi di lettura
Quindici giorni prima del voto i sondaggi sono vietati. E i sondaggisti, questa volta, alzano i calici al cielo. Mai come per queste elezioni regionali si sono trovati in difficoltà. Perché i risultati delle rilevazioni sono stati fin qui talmente contraddittori che nessuno di loro se la sente di affermare: “La mia fotografia del voto è quella giusta”. Meglio starsene zitti ed evitare brutte figure. Poi, certo, nella massima riservatezza il lavoro va avanti, si cerca in qualche modo di venire a capo del rompicapo. I clienti, leggasi partiti e candidati, incalzano e qualche veritiera indicazione bisogna pur dargliela. Ma anche in questo caso la premessa è d’obbligo: “Prendete quel che vi diciamo con le pinze”.
 
La Liguria non fa eccezione. Anzi, è uno degli epicentri del rebus: Raffaella Paita è davvero in vantaggio? E di quanto? E il suo avversario principale è Giovanni Toti, il candidato del centrodestra riunificato, o piuttosto Alice Salvatore, giovane alfiera del Movimento 5 Stelle? E quanto toglierà Luca Pastorino (Rete a sinistra) al Pd? Ed Enrico Musso (Liguria Libera) farà più danno a Toti, come si ritiene, o alla stessa Paita, che a prima vista sembra favorita dalla candidatura dell’ex parlamentare Pdl?

Quesiti all’apparenza ordinari, ai quali i sondaggisti in passato avrebbero dato risposte sufficientemente aderenti a quello che poi si sarebbe verificato. Stavolta, invece, è tutto maledettamente più complicato e nessuno se la sente di metterci completamente la faccia. “A noi le cose risultano così, però…”. Ormai è un mantra. Ma che cosa rende improvvisamente così complicato fare previsioni? Due elementi su tutto: la difficoltà di inquadrare il dato dell’astensionismo e, soprattutto, la enorme percentuale di indecisi. Stimare  l’esercito dei non votanti è fondamentale: se lo si indica al 30 piuttosto che al 40 o 50% si modifica il quadro finale in ottica di  assegnazione dei seggi, e questo investe il fattore governabilità. Difatti una delle ipotesi più accreditate è che chi vincerà in Liguria, si tratti di Paita, Toti o Salvatore, non avrà i numeri per mettere insieme una maggioranza e dovrà per forza ricorrere a delle alleanze.

La variabile astensionismo, tuttavia, può essere controllata con l’azzardo di puntare decisi su una percentuale: e difatti un po’ tutti i sondaggisti si orientano a valutarla intorno al 50% del corpo elettorale. Ma subito dopo ecco l’altro, e stavolta insormontabile scoglio: gli indecisi. Sono un esercito: elettori che rispondono “a votare ci andrò, però ancora devo stabilire per chi”. E qui il gioco si ferma, perché la previsione diventa impossibile.

Quanto la cosa pesi, è dimostrato da ciò che sta avvenendo in Forza Italia. C’è un sondaggio che dà il partito al 7-8% su base nazionale ( ricordiamo che si vota in sette regioni), un risultato che sarebbe all’origine dell’improvvisa sortita fatta l’altro giorno da Silvio Berlusconi: “Ormai sono fuori dalla politica”. Ovviamente non è vero, difatti il Cavaliere ha subito dopo fatto ragionamenti pieni di politica e da politico in attività effettiva permanente, ma quelle parole di disimpegno sono apparse come il modo di allontanare da sé il peso di una eventuale pesante sconfitta. In ogni caso, hanno aperto la strada a un riassetto del partito che Paolo Romani, Maria Stella Gelmini e Renato Brunetta cercano già di gestire. Non a caso tutti e tre saranno in Liguria a sostenere il candidato Giovanni Toti. Il consigliere politico di Berlusconi (pure lui dovrebbe tornare fra gli elettori liguri) è il principale esponente di Forza Italia gettato nell’agone: se vincerà o se rimedierà una sconfitta molto, molto onorevole, costituirà la pietra angolare della ricostruzione. Soprattutto considerando che in Liguria ha rimesso insieme il centrodestra tutto, operazione con vista su Roma.

Del resto, per stare alla volubilità dei sondaggi, una rilevazione dà la Lega al 22% e Forza Italia al 7, ma un altro fotografa il Carroccio al 14 e gli Azzurri al 12%. Mettiamoci il margine d’errore e almeno in un caso il sorpasso leghista sui forzisti non è affatto scontato.  Sarebbe una buona base per ripartire. E poi: se Berlusconi davvero farà un passo indietro, ritagliandosi il ruolo di padre nobile senza interferire più di tanto sulle decisioni, avrà ancora senso per il rivoltoso Raffaele Fitto uscire da Forza Italia? In fondo, questo dicono i sondaggi (in tal caso esprimendo il gradimento verso Forza Italia non dal punto di vista elettorale ma dell’azione politica portata avanti), il partito aveva molto più consenso ai tempi del Patto del Nazareno. Il che non è così sorprendente, considerando che il premier Matteo Renzi (anche lui tornerà a Genova per sostenere Paita) sta proponendo o realizzando molte delle cose storicamente nel programma liberale di Berlusconi & C.

Quanto avvenuto sull’Italicum, la legge elettorale scritta con il contributo di Forza Italia e poi non votata dagli Azzurri, la dice lunga, agli occhi dei simpatizzanti forzisti: la battaglia sull’atteggiamento da tenere verso Renzi è ritenuta di posizionamento interno e poco o niente riferita al contenuto dei provvedimenti. Manovre che provocano disorientamento fra gli elettori, abituali o potenziali, di un partito. E non a caso è quanto accade, specularmente, anche al Pd. Come finirà? Se lo si chiedesse ai sondaggisti si rischierebbe di farli precipitare in una crisi di nervi. Ma almeno per trarre una prima conclusione i sondaggi non servono: dopo il voto del 31 maggio, nulla sarà come prima.