economia

Autotrasportatori fuori da Palazzo Chigi
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Vertice a Palazzo Chigi per sbloccare una situazione che pare sempre più intricata. Mentre circa mille tra autotrasportatori e altri lavoratori dell'indotto Ilva, che l'azienda non paga da 8 mesi, protestano a Roma. I creditori aostengono di non poter attendere la conversione in legge del decreto Ilva e rivendicano il pagamento cash di una parte dei crediti vantati, che ammontano complessivamente a 15 milioni di euro.

Sulla questione Ilva il governo ha presentato alcuni emendamenti. La modifica prevede una garanzia dello Stato sui relativi finanziamenti attivati allo scopo di ripristinare la tutela ambientale nello stabilimento siderurgico. Resta fermo l’obbligo di rivalsa nei confronti del soggetto che ha inquinato. L’emendamento supera diverse difficoltà giuridiche, soprattutto a livello europeo, per quanto riguarda l’intervento pubblico.

Si parte dal parere motivato dello scorso 16 ottobre della Commissione europea, che aveva affrontato il tema dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto, sottolineando tra le altre cose che: “le Autorità italiane debbano eseguire gli interventi di messa in sicurezza e bonifica diretti a sanare l’inquinamento causato dallo stabilimento siderurgico Ilva di Taranto, anche prima che siano stati definiti i procedimenti giurisdizionali promossi dal Governo italiano per far dichiarare la responsabilità dell’Ilva”.

Secondo la Commissione, infatti, ulteriori ritardi nell’eseguire il risanamento ambientale sarebbero “incompatibili” con la direttiva europea sulle emissioni industriali e, ancor più grave, con l’articolo 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, la norma che tutela l’ambiente. Non a caso, nelle conclusioni l’Europa invitava l’Italia ad adottare le disposizioni necessarie per conformarsi al parere, pena l’assoggettamento dello Stato a sanzioni pecuniarie.

Ma non è soltanto il parere motivato della Commissione europea a far pendere la bilancia a favore di un intervento dello Stato. Il risanamento ambientale dell’area Ilva attraverso un intervento istituzionale trova il suo fondamento nella normativa europea in materia di tutela ambientale. In particolare, la Direttiva 35 del 2005 prevede che, con riferimento sia alle attività di prevenzione sia di ripristino del danno ambientale, lo Stato possa adottare le misure di prevenzione, qualora l’operatore non si conformi agli obblighi previsti e “non le rimangano altri mezzi”.

Neppure l’ostacolo relativo al divieto europeo di aiuti di Stato pare insuperabile. Il Piano di azione per una siderurgia europea competitiva e sostenibile del 2013 della Commissione europea stabilisce infatti che “il settore siderurgico può usufruire di varie categorie di aiuti di Stato che concorrono al conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020: aiuti a favore di ricerca, sviluppo e innovazione, aiuti alla formazione e all’occupazione e aiuti volti a promuovere la tutela ambientale”. Proprio il grimaldello della tutela ambientale può essere utilizzato per superare l’ostacolo.