politica

Spaccatura nel Pd dopo le primarie in Liguria
3 minuti e 9 secondi di lettura
Il caso Cofferati irrompe nella partita per il Quirinale. L'atteggiamento di Matteo Renzi sulla vicenda, assieme alla norma "salva Berlusconi" nel decreto fiscale e alla chiusura sulle riforme, peseranno "notevolmente - dichiara Stefano Fassina - sulla scelta del nuovo presidente della Repubblica". Un avvertimento che i renziani definiscono puramente strumentale da parte di chi agita continuamente il tema della fedeltà alla "ditta" e invece non mostra "nessuna responsabilità" in un momento cruciale per il Pd.

In settimana la delegazione dem che Renzi si è affiancato nella ricerca di un'ampia convergenza sul Colle, dovrebbe iniziare gli incontri con gli altri partiti. Ma prima di sedersi al tavolo, Angelino Alfano e Silvio Berlusconi si vedranno per provare a riannodare, all'ombra del voto del prossimo capo dello Stato, i fili di un'unità del centrodestra che favorisca l'investitura di una personalità appartenente non alla sinistra di stampo comunista ma al campo dei "moderati". Un nome quanto più possibile giovane, aggiunge il leader di Ncd. E comunque "il meno distante possibile", auspica Maurizio Gasparri, dai moderati. Un identikit che secondo alcuni farebbe pensare al centrista Pier Ferdinando Casini.

Tutte pretese che, affermano da sinistra, non possono essere accolte. "Per me al Quirinale deve andare una personalità di livello internazionale e di sinistra", scandisce Cesare Damiano. E Nichi Vendola avverte: "Sosterremo il candidato del Pd solo se non sarà espressione del Patto del Nazareno". "Il presidente deve essere garante di tutti e non solo di qualcuno", sottolinea Alfredo D'Attorre.

E Stefano Fassina spiega che "autorevolezza, autonomia dall'esecutivo e capacità di unire" sono i tre requisiti indispensabili per la minoranza Pd. "Spero che non ci sia bisogno dell'elmetto, ma siamo pronti per ogni evenienza", dichiara Laura Boldrini, osservando il clima surriscaldato della vigilia. L'avvertimento della presidente della Camera a chi dirige il gioco, è fare in modo che, come "giusto, tutti i parlamentari e i delegati regionali siano coinvolti", perché "il Parlamento non può essere solo un'assemblea di ratifica", come insegna l'esperienza del 2013 e dei 101 franchi tiratori che affossarono Prodi.

La partita vera, spiegano dalla maggioranza Pd, deve ancora iniziare. Renzi ha annunciato che darà il nome del suo candidato non prima del 28 gennaio. Dunque, se restano più alte le chance di alcuni candidati rispetto ad altri (Giuliano Amato, Sergio Mattarella e Pier Carlo Padoan, i più quotati), nessuno è fuori dalla partita: da Piero Fassino a Walter Veltroni, da Anna Finocchiaro a Graziano Delrio. E anche l'appello a 'collaborare' sulla legge elettorale rivolto nel pomeriggio da Debora Serracchiani ai 5 Stelle, viene letto dalla minoranza Dem come un buon viatico se si cercherà di riportare in partita un candidato come Romano Prodi, ufficialmente bocciato da Grillo. Prima di arrivare al finale di partita, però, la strada è ancora molto accidentata.

Il clima sembra farsi ogni giorno più surriscaldato, a iniziare dal Pd. Per il "preoccupante" incrocio, "voluto da Renzi", tra il Colle e le riforme. Ma anche, avverte Stefano Fassina, per una vicenda, come quella dell'addio al Pd di Cofferati, che da Renzi è stata gestita "in modo sbrigativo e offensivo". Il premier inoltre non ha ancora cancellato formalmente, osserva il deputato, il "salva Berlusconi" dal decreto fiscale.

Dunque "il clima" nel quale i grandi elettori saranno chiamati a votare il nuovo capo dello Stato, è l'avvertimento, sarà "non positivo". "Fassina? Quando si dice responsabilità...", commenta lapidario su Twitter Andrea Marcucci. Ma sono parole isolate: i renziani scelgono di non replicare e per il momento non commenta il premier.