“Farete una brutta fine perché siete una roba inqualificabile”. Il presidente della Regione Liguria, Claudio Burlando, ha davvero perso una buona occasione per tacere. Quelle parole le ha rivolte al collega Dario Vassallo, la cui unica colpa era di fare il proprio lavoro. E cioè aver chiesto conto all’assessore regionale con delega alla Protezione civile Raffaella Paita del suo lavoro in riferimento all’alluvione, prima di rivolgersi allo stesso governatore per conoscere quali ragioni lo avessero indotto a non incontrare gli operatori economici colpiti dall’alluvione che manifestavano la propria rabbia sotto le finestre della Regione, in Piazza De Ferrari. Tanto da trasferire altrove la conferenza stampa, precedentemente convocata presso la sede dell’ente. Un esercizio ordinario di informazione e, se si vuole, di critica, contro il quale Burlando – prima di rilasciare le sue dichiarazioni ufficiali che il collega Vassallo ha comunque raccolto – ha scelto di scagliarsi in quel modo. Non accorgendosi di essere già ripreso dalla telecamera.
Che oggi lui ci ritenga “una roba inqualificabile” mi viene da considerarlo un complimento. Mi preoccuperei del contrario. E se si fosse limitato a questo tutti noi avremmo iscritto quelle parole al suo sacrosanto diritto di non condividere le nostre cronache e i nostri commenti. Il dissenso si può esprimere in modi più eleganti o più rozzi, ma ci sta e certo non lo stigmatizza chi rifugge dal “pensiero unico”, che troppo spesso è il diavolo tentatore della classe dirigente italiana, in particolare nella sua declinazione politica.
Ma quando Burlando dice “farete una brutta fine” va oltre il confine della critica, scivola sul terreno dell’intimidazione. E questo non ci sta. Non ci sta perché un conto è rammaricarsi di un’informazione, nello specifico quella di Primocanale, che magari si vorrebbe meno attenta, più acquiscente, accomodante se non asservita, altro è usare parole e toni che abbiamo conosciuto durante le pagine più buie della nostra storia o nelle aule giudiziarie ai processi per mafia. Di sicuro non possono albergare presso la più alta rappresentanza del più elevato ente locale ligure.
Sia chiaro, non sto dando del mafioso a Burlando, dico che nel suo impeto di difendere tutto ciò che ha fatto o che fa non può permettersi di impugnare l’arma dell’aggressione verbale. I giornalisti, e quelli della redazione di Primocanale non fanno eccezione, hanno il compito di informare liberamente i cittadini. Possono farlo bene o meno bene e in modo più o meno criticabile, ma i loro primi giudici sono i lettori e i telespettatori, con il portato delle vendite in edicola piuttosto che dei contatti sui siti o dei dati auditel. La credibilità è il principale derivato del lavoro di un giornalista e il pubblico dei cittadini è il più importante e severo banco di prova al quale si sottopongono.
Poi, certo, c’è la comunità politica, che però non può sentirsi al di sopra di tutto e di tutti, fatta di una casta più o meno ampia di intoccabili. Per la serie, si raccontino pure le storie dei provericristi, ma non si disturbi il manovratore. Magari piacerebbe a chi frequenta da trent’anni i palazzi del potere, ma le cose girano diversamente. Ad ogni pie’ sospinto i politici ci rammentano il dovere di rispettare le regole della democrazia, anche a Burlando è capitato di farlo. L’informazione libera, anche quella che non piace, è esattamente un pilastro di quella democrazia. Per questo dire “farete una brutta fine” è un intimidatorio atto di anti-democrazia. Da respingere con forza. Per usare il lessico del governatore ligure, sono parole inqualificabili.
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L'EDITORIALE / L'arroganza politica non ama domande scomode
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