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Dei 22 milioni sequestrati dalla Guardia di finanza di Genova nell'ambito dell'inchiesta che ha portato agli arresti domiciliari il vicepresidente di Abi e ex presidente di Carige Giovanni Berneschi e altre sei persone, 21 milioni erano in capo allo stesso Berneschi. Lo si apprende da fonti investigative. Il denaro era depositato su alcuni conti correnti e investito in titoli.

LA STORIA -
Sette arresti (tre ai domiciliari), 22 milioni di euro tra conti correnti e titoli sequestrati; associazione a delinquere, truffa e riciclaggio i reati ipotizzati. E' finita tra Genova, La Spezia e Milano la partita a Monopoli del vicepresidente di Abi ed ex presidente e plenipotenziario di Carige, Giovanni Berneschi. Una partita che finisce nella casella 'prigione' dove si sono arenati tutti i giocatori di questa lunghissima vicenda che, secondo gli inquirenti, ha portato a un turbillon di quattrini nelle tasche dei protagonisti: Giovanni Berneschi, 77 anni, Ferdinando Menconi, 67 anni e Ernesto Cavallini, 66, sono tutti e tre ai domiciliari. Davide Enderlin, 42 anni, Sandro Calloni (61), Andrea Vallebuona (51) e Francesca Amisano (48) sono invece in carcere.

L'attuale presidente di Carige Castelbarco Albani ha già annunciato che la banca "si costituirà parte civile". Per tutti c'è l'accusa di aver fatto parte di un'associazione a delinquere di carattere transnazionale operante in Italia, Spagna e Svizzera finalizzata alla perpetrazione di truffe ai danni di banca Carige e di Carige Vita nuova, il ramo assicurativo dell'istituto di credito e del successivo riciclaggio e reinvestimento di proventi illeciti, oltre che alla truffa. In serata si è appreso da fonti investigative che dei 22 milioni di euro sequestrati, 21 erano in capo dello stesso Berneschi; il denaro era depositato su alcuni conti correnti e investito in titoli.

Secondo l'accusa, tramite perizie supervalutative stilate da Vallebuona, le società di cui facevano parte alcuni indagati si auto-vendevano o se si vuole si auto-acquistavano immobili o quote societarie e il denaro recuperato in eccedenza veniva ripulito e riciclato a favore di quelli che gli inquirenti hanno identificato come i capi di un vero e proprio comitato di affari: Berneschi e Menconi, rispettivamente ex presidente di Banca Carige e di Carige Vita nuova e ex amministratore delegato di Carige Vita Nuova. Un'operazione ripetuta mille e una volta attraverso la Balitas sa, società che ha sede nel Canton Ticino, formalmente amministrata da Enderlin, i cui soci occulti sarebbero gli stessi Berneschi e Menconi.

L'attività, secondo gli inquirenti, vanta un'endurance da decatleta. E già dal 2006 spunta l'immobiliarista e finanziere Ernesto Cavallini, condannato per il crac della genovese Comitas Assicurazioni di cui era presidente all'epoca della gestione di Florio Fiorini. Anche Menconi era stato amministratore di Comitas. E sarà Cavallini - lo stesso per il quale Carige 'sorvola' sugli incagli e sborsa fior di milioni, tanto da insospettire gli ispettori di Bankitalia - l'involontario cavallo di Troia degli inquirenti genovesi.

La Gdf comincia a passare ai raggi x le società che fanno affari con il ramo Vita di Carige
e trovano nel mare magnum delle operazioni la chiave per capire la tecnica adottata da Berneschi, che definiscono capo carismatico di un comitato d'affari iperattivo. E così si scoprono compravendite autogestite attraverso la svizzera Balitas che portano al riciclaggio di svariati milioni di euro, tutti convergenti nelle tasche degli indagati che li riutilizzavano per operare altre operazioni finanziarie a incastro, sofisticate truffe come quella del 2006 quando Carige Vita comprò per 28 milioni la società IH Roma che faceva capo a Cavallini, proprietaria dell'albergo romano Pisana Palace.

Il trucchetto era già stato portato a termine qualche mese prima con la Portorotondo Gardens, società comprata da Carige Vita per 8,9 mln di euro. Guarda caso, la stessa società era stata acquistata da Cavallini, che l'aveva pagata 690 mila euro. Cavallini qualche mese prima avrebbe ottenuto da Carige una discreta apertura di credito dando in garanzia proprio le quote della Portorotondo. Il modus operandi, secondo gli inquirenti, veniva replicato all'infinito tramite la Lascafive sa di Enderlin in Svizzera dove la Gdf ha sequestrato, tra conti e titoli, 21 milioni di euro.

IL PERSONAGGIO - La parabola discendente di Giovanni Berneschi, per quasi quindici anni 'padrone' di Banca Carige, è iniziata la scorsa estate dopo che Bankitalia ne ha chiesto la testa al termine di una durissima ispezione da cui sono emersi addebiti di ogni tipo, dal 'credito facile' alla violazione delle norme antiriciclaggio, e che si è conclusa con l'invio delle carte in Procura. Fino ad allora in Liguria, Berneschi era una potenza.

Nato a Genova nel '37, entrato nella banca nel '57 come impiegato, aveva scalato tutti i gradini della gerarchia fino a diventare condirettore generale nel '79, amministratore delegato nel 2000 e presidente nel 2003, incarico che ha lasciato lo scorso 30 settembre al termine di un duro scontro con l'allora presidente della Fondazione Carige, Flavio Repetto, lo stesso che aveva fatto rimuovere dalla guida delle assicurazioni di Carige Ferdinando Menconi, fedelissimo del banchiere e con lui agli arresti domiciliari.

La gestione dei cordoni della borsa di una banca che in Liguria domina il mercato, l'ha reso uno degli uomini più potenti della regione, quello a cui bisognava bussare per finanziare le operazioni più importanti. Berneschi, un autocrate dal carattere ruvido e senza troppi peli sulla lingua, era corteggiato dall'imprenditoria locale, in ottimi rapporti con la curia genovese e il cardinale Tarcisio Bertone, la Camera di Commercio e ovviamente la politica con cui aveva rapporti trasversali, dalla famiglia Scajola al presidente della Liguria, Claudio Burlando, all'ex parlamentare Pdl, Luigi Grillo, fedelissimo dell'ex governatore di Bankitalia, Antonio Fazio.

Il potere di Berneschi, che ha cercato di fare di Carige una banca nazionale acquistando sportelli e diversificando nelle assicurazioni (rivelatesi uno dei maggiori problemi della banca), gli è valso il titolo di Cavaliere del Lavoro nel 2005. Nonostante le nubi si addensassero all'orizzonte è rimasto vicepresidente dell'Abi e dell'Acri, le associazioni nazionali delle banche e delle fondazioni.