Cinque partite giocate, 9 gol subìti, appena 2 realizzati, differenza reti -7, vittorie 0, punti raccolti 2, rispetto alle stesse giornate dello scorso anno -3 punti in classifica. I numeri della Sampdoria sono impietosi e certificano il difficile avvio di stagione della squadra di Marco Giampaolo, ancora a secco di successi e con all'orizzonte la sfida di sabato sera contro il Milan campione d'Italia, seppure reduce dal faticoso pareggio per 1-1 in Champions con il Salisburgo.
Ma le cifre non dicono tutto della Samp. Non dicono, per esempio, che la tanto attesa svolta societaria di metà agosto con presumibile iniezione di liquidità da investire in acquisti non c'è stata. Non dicono che l'organico, al netto delle partenze eccellenti (Candreva, Ekdal, Thorsby, Damsgaard, per non dire Bonazzoli) e degli ancora mancati inserimenti completi di Villar e Winks per ragioni fisiche è stato giocoforza indebolito. Non dicono che gli ingaggi sono stati complessivamente abbassati di otto milioni, con conseguente riduzione anche del livello dei giocatori. Non dicono che il calendario è stato complicato. Non dicono che già D'Aversa era partito peggio di Ranieri, che a sua volta ha iniziato peggio di D'Aversa, che aveva raccolto l'eredità del troppo costoso maestro degli "aggiustatori" dopo il disastro del duo Sabatini-Di Francesco (3 punti in 7 partite).
Tutto questo per sottolineare che la Sampdoria non è in caduta libera da oggi: a furia di camminare sull'orlo del baratro, si rischia prima o poi di finirci dentro, se non si intraprende un percorso virtuoso all'inverso.
Il che non significa "assolvere" allenatore e giocatori, ai quali il presidente Lanna ha ribadito la fiducia, dalle rispettive responsabilità per l'indegna prestazione di Salerno e gli inquietanti 50 minuti di Verona, perché c'è modo e modo di perdere. Ma questo è il risultato di anni e anni di depauperamento tecnico (oltre che finanziario), che va di pari passo con quello mentale: nel bagaglio di un giocatore di livello c'è anche la capacità di tenere botta alla distanza, di non sedersi o peggio appagarsi dopo una bella partita. Il "caso" Sabiri è emblematico.
Attribuire di volta in volta le colpe del ribasso progressivo al Giampaolo di turno (ricordiamo le critiche a Ranieri per il presunto "non gioco"), ad Audero, a Osti, alla stampa cittadina, agli arbitraggi (che pure in queste prima partite sono stati nefasti e lo abbiamo sottolineato con forza pure noi) non aiuta a vedere la trave nell'occhio anziché le pagliuzze. Questo inesorabile destino iniziò nel 2014, quando Edoardo Garrone regalò la Sampdoria al suo impresentabile successore. Ma anche questo rimestare nel passato non serve più a nulla.
E, nonostante tutto ciò, guai ad abbandonarsi al fatalismo. L'ambiente è compatto, i tifosi remano a favore come non mai, le trattative di cessione societaria proseguono, Gabbiadini sta recuperando, prima o poi anche Winks e Villar saranno della partita, la concorrenza nei bassifondi della classifica non brilla per rendimento. Tutti elementi che devono spingere la Sampdoria a reagire, sul campo in primis. Ma anche fuori, mettendo in atto tutto ciò che è possibile e necessario per favorire un ricambio.
La "fortuna" di quest'anno è il campionato diviso in due: occorre tenere botta sino a metà novembre, restando aggrappati alla salvezza. Poi ci sarà l'opportunità per programmare la seconda parte della stagione a bocce ferme. Ma con uno slancio differente, che non può prescindere dalla svolta delle svolte. I numeri non dicono tutto, tranne che il tempo delle chiacchiere è finito e scherzare con il fuoco è un azzardo che non può andare avanti per troppo tempo.
IL COMMENTO
Grazie dei consigli, caro Principe
Il Pd ha i voti e i giovani forti, ma restano i “parrucconi”