salute e medicina

Una delle misure messe in campo da Alisa
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Un test gratuito, rivolto a tutte alle persone ricoverate in ospedale, tra i 18 e i 65 anni, che vengono sottoposte a prelievo ematico. E' una delle misure messe in campo da Alisa, l'azienda ligure sanitaria, in collaborazione con tutte le Asl e gli ospedali della Liguria, per individuare il maggior numero possibile di persone sieropositive.

Dal 1984, anno in cui si è verificato il primo caso di Aids in Liguria
, le notifiche provenienti dalle strutture cliniche liguri sono state 3.723, di cui 3.310 casi riferibili a residenti liguri. I dati sono stati diffusi oggi al convegno regionale Anlaids, per fare il punto in vista della Giornata mondiale per la lotta contro le infezioni da Hiv, il prossimo primo dicembre. Nel 2018, sono stati notificati 99 casi di Hiv: 58 a Genova, 14 a Imperia, 11 a La Spezia, 8 a Savona e 8 fuori regione. Nel 2017, il totale era stato di 110 casi.

L'andamento dell'incidenza
osservato nel corso degli anni tra i residenti liguri mostra una costante crescita sino al 1995, con un picco epidemico di 16,9 casi ogni 100mila abitanti, a cui ha fatto seguito una progressiva e netta riduzione fino ai 3,8 casi ogni 100mila abitanti nel 2000. Negli ultimi anni, invece, la media si è assestata attorno ai due casi ogni 100mila abitanti. A livello locale, la concentrazione maggiore si rileva a Genova, con 2,5 casi ogni 100mila abitanti.

Dall'inizio del millennio, in Liguria mediamente si sono presentati ai centri clinici due persone alla settimana a cui è stata diagnostica per la prima volta una positività Hiv. Le fasce d'età più interessate dal fenomeno risultano quelle 35-44 e 25-34 anni con valori, rispettivamente, del 32,3% e del 25,1%; seguono poi le classi 45-54 anni (21,0%) e gli over 55 (13,6%). Globalmente, tra i 25-54 anni, si sono verificate 1.574 segnalazioni, che rappresentano la maggior parte dei casi (78,4%).

"Oggi con l'Hiv si può vivere, e a lungo, ma più si va avanti con gli anni, più aumenta il rischio di soffrire di un'insufficienza d'organo, e a quel punto l'unica via d'uscita è il trapianto. Una soluzione per la quale in passato l'infezione da Hiv era considerata una controindicazione assoluta. Ora non è più così, e non solo i pazienti sieropositivi accedono al trapianto ma, da poco più di due anni, possono addirittura donare i loro organi dopo la morte", sottolinea il comunicato del Centro nazionale trapianti.

Dal 2017 è attivo un programma sperimentale
che permette il trapianto tra donatori e riceventi con Hiv. Dopo una fase pilota avviata dal Dipartimento trapianti dell'Ospedale di Varese diretto dal professor Paolo Grossi, il protocollo è stato esteso a livello nazionale con un decreto del ministro della Salute che l'8 marzo 2018 ha abrogato il divieto di prelievo di organi solidi da donatori Hiv positivi deceduti. A oggi, a partire da 9 accertamenti di morte di persone sieropositive, sono stati registrate un'opposizione e 8 donazioni, grazie alle quali sono stati effettuati 12 trapianti: 3 di fegato e 9 di rene.

Gli ultimi 3 interventi sono stati realizzati nel settembre scorso. Sette i centri trapianto finora coinvolti: Varese, Milano Niguarda, Modena, Genova, Ancona, Roma San Camillo e Palermo Ismett. Attualmente l'Italia e' l'unico paese dell'Unione europea ad aver avviato formalmente un programma di donazione da persone sieropositive decedute. In questo momento sono 67 i pazienti con Hiv che aspettano un trapianto: 39 attendono un rene, 25 un fegato, 2 un polmone e 1 un cuore.

"Il programma sperimentale è vantaggioso non solo per le persone sieropositive ma anche per tutti gli altri pazienti in attesa di trapianto", conferma la nota. "Una maggiore disponibilità di organi riservati ai pazienti con Hiv aumenta le chance per i sieronegativi, perché le due categorie di malati non sono più in concorrenza per lo stesso organo e la lista d'attesa scorre più velocemente per tutti. Ma soprattutto il programma consente di garantire l'accesso a organi di qualità e senza rischi aggiuntivi a persone che per molto tempo hanno visto precludersi la terapia del trapianto sulla base di valutazioni oggi del tutto superate dalle evidenze scientifiche".