Cultura e spettacolo

Ha ottenuto cinque nomination all'Oscar: miglior film, miglior attore protagonista (Paul Giamatti), miglior attrice non protagonista ( Da'Vine Joy Randolph), miglior sceneggiatura originale e miglior montaggio
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Ognuno di noi nella sua vita scolastica ha avuto almeno un insegnate al quale sente di dovere qualcosa, più o meno fondamentale nella crescita o nell’apprendimento. ‘The holdovers – Lezioni di vita’ di Alexander Payne è dedicato al tipo opposto, in questo caso un duro di nome Paul Hunham che tutti odiano. Sentimento peraltro contraccambiato dal momento che il signor Hunham considera la maggior parte dei ragazzi iscritti alla Barton Academy, una sperduta scuola del New England, piccoli mostri. Siamo nel 1970, lui insegna lettere classiche, l'amore più grande della sua vita, ma è un docente insopportabile che confonde costantemente gli studenti con uno stile didattico al quale sono impreparati: tutt'altro che premuroso ed equilibrato, aggressivo, duro come un chiodo e completamente riluttante a cambiare.

Non vede l'ora di trascorrere il periodo natalizio in completa solitudine ma gli viene affidato un compito per il quale non è proprio adatto: prendersi cura di cinque studenti per vari motivi impossibilitati a tornare a casa durante le vacanze invernali. In realtà i genitori di uno di loro che vengono a riprendersi il figlio si offrono di portare con sé anche gli altri ma non riescono ad entrare in contatto con la madre di Angus che è partita in luna di miele col nuovo marito cosicché il ragazzo è costretto a restare a scuola. È il più intelligente della classe ma anche un terribile rompiscatole, espulso più volte. Con loro due resta anche la cuoca afroamericana Mary che nonostante abbia perso il figlio in Vietnam appena un anno dopo la laurea ha un atteggiamento più positivo dei due uomini fornendo un po' di ragionevole sostentamento ad entrambi, impegnati a scontrarsi tra loro con ogni mezzo possibile. Tre anime perdute che hanno tutte bisogno di qualcuno.

Alexander Payne è da tempo uno dei registi americani più abili nel descrivere storie sulla condizione umana, sia che si tratti di semplici elezioni scolastiche (‘Election’), di aborto (‘Citizen Ruth’) o persino di vini da degustare (‘Sideways’). Qui racconta dei mezzi silenziosamente potenti con i quali si può cambiare la vita di un altro attraverso le opportunità che ci vengono date per salvarci a vicenda se solo ci prendiamo il tempo per ascoltare. La storia in sé è prevedibile quanto basta ma malinconica e senza un briciolo di cinismo nonostante i suoi cinici personaggi. Seguendo una tendenza che è per lo più coerente con il lavoro precedente del regista, è anche un film sui solchi in cui rimaniamo intrappolati e sulla spinta necessaria per uscirne. La vita è caotica e se pure ‘The Holdovers’ non perde mai di vista questa verità non diventa mai autoindulgente.

Hollywood ha una lunga sequenza di storie di “famiglie improvvisate che imparano qualcosa” ma qui i cliché di questa lezione vengono incorporati con verità che rimarranno sempre senza tempo. Perché ognuno di noi ha quell'amicizia inaspettata che ti cambia o magari uno più giovane che ti ha scosso rivelando quello che è diventato o magari ciò che non è riuscito a essere. ‘The Holdovers’ (termine che in inglese sta per ‘avanzi’ ma anche per ‘bocciati’) è un dramma generoso e non banale su tre spiriti feriti, un film su classe e razza, dolore e risentimento, opportunità e diritto che si appoggia all'idea romantica secondo cui persone molto diverse possono, almeno per un breve periodo di tempo, riuscire a fare affidamento l’uno sull’altro.

In un panorama culturale cinematografico disseminato di formule di successo Payne guarda con affetto al passato tra nostalgia, malizia e sfumature. E alla fine c'è qualcosa di confortante e rasserenante nel vedere tre sconosciuti diventare una famiglia ritrovata nonostante tante differenze e mille difficoltà così che l’opera di Payne diventa una testimonianza amorevole del potere dello spirito umano che preferisce note di grazia sottili e inquiete rispetto a qualsiasi necessità di urlare.