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Vivo a Imperia e a circa duecento chilometri di distanza, cioè niente quando parliamo di possibile fall-out radioattivo, c'è una centrale nucleare francese. Oltralpe cibano la loro fame energetica anche in questo modo, mentre noi dipendiamo per oltre il 40 per cento dal gas della Russia. C'è qualcosa che non torna, considerando che i pericoli del nucleare ce li becchiamo tutti anche noi italiani, mentre i benefici li incamera soltanto la Francia.

Ciò perché, a suo tempo, con un referendum abbiamo detto di no a questa fonte energetica. Non è che gli elettori abbiano sempre ragione. E neanche ce l'hanno quanti in nome di una mal riposta attenzione ecologica hanno impedito le trivellazioni per il gas e per il petrolio, oppure si oppongono a tutto ciò che potrebbe far crescere il nostro Paese. Sono gli stessi che adesso ululano contro il governo, colpevole di non fare nulla contro il caro bollette di luce e gas: ma fateci il piacere! Se oggi siamo in difficoltà (e uso un eufemismo...!) è grazie a quei no. Quindi, chi ebbe parte attiva nel farli pronunciare almeno abbia il pudore di tacere.

E tacciano pure quanti in queste ore si stracciano le vesti perché l'Italia, come il resto dell'Ue, è in procinto di aumentare la spesa militare. Nel miglior mondo possibile non ci sarebbero guerre e di conseguenza armi, ma non siamo nel miglior mondo possibile. Però ci vuole una linea, una strategia anche politica. Ora salta fuori che Leonardo, la vecchia Finmeccanica, non vuol più vendere la spezzina Oto Melara (carri armati e altro) e la toscana Wass (missili), che sembravano destinate a un raggruppamento franco-tedesco ancorché un pensiero ce lo stesse facendo pure Fincantieri (che oltre alle navi da crociera costruisce pure quelle militari). Leonardo ha fiutato l'affare, con le spese per le armi che aumenteranno.

Non ci voleva un genio per capire che vendere Oto Melara e Wass sarebbe stato un errore. L'invasione dell'Ucraina si è incaricata di sbatterci in faccia la realtà: una guerra è sempre possibile e, nello specifico, non sappiamo affatto se Putin si fermerà a Kiev. Inoltre, non è che occuparsi di armi significhi tour court essere guerrafondai.

C'è molta letteratura sulla ricerca scientifica civile applicata alle questioni militari. Ce n'è molta meno quando, al contrario, si parla di ricerca militare applicata al civile. Eppure accade: Internet è il caso più macroscopico di qualcosa che dal militare è sbarcato nella vita quotidiana di tutti noi. Ma gli esempi potrebbero essere decine, soprattutto se adesso pensiamo alla sicurezza cibernetica: si rafforzano gli argini della difesa militare, ma poi si passa a tutto ciò che noi possiamo fare con un banale telefonino. Non mi pare irrilevante.

Dunque, va benissimo il no alla guerra. Ma tutti gli altri no possono essere tanto assurdi quanto forieri di futuri, enormi problemi. Anche facendo salva la buonafede di chi li pronuncia, la politica avrebbe il compito di indirizzare le scelte, non di cavalcare le legittime, ataviche e a volte mal calibrate paure della massa. Una cosa è dire che certe materie vanno maneggiate con assoluta cura, che si parli di nucleare o di armi, altro semplicemente sostenere che di quella roba lì non ne vogliamo sapere.

È un lusso non consentito, in un mondo tutto interconnesso. A meno che qualcuno non dimostri che il pericolo del possibile fall-out dalla centrale a circa duecento chilometri da me si fermerebbe al confine perché l'impianto è in Francia, io sto in Italia e i miei connazionali hanno detto no al nucleare...