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Diciamoci la verità, sull’ex Ilva sono andati persi dodici anni. Non ci voleva un genio per immaginare che già dal momento della primissima inchiesta giudiziaria o la politica avrebbe preso il toro per corna oppure saremmo finiti esattamente nella situazione di questi giorni. E cioè: versare una “buonuscita” fra i 400 e i 500 al socio di turno, nazionalizzare l’azienda siderurgica “a tempo” e mettersi alla rapida ricerca di nuovi partner privati.

A suo tempo si preferì puntare sul colosso franco-indiano ArcelorMittal, che mentre si sta definitivamente disimpegnando dall’Italia sta investendo nell’impianto di Dunkerque, in Francia. Quando fu scelta l’azienda Franco-indiana si tenne probabilmente conto anche delle sue dimensioni planetarie, mettendo la sordina ad un altro elemento risultato, invece, tutt’altro che irrilevante e che risponde a questa osservazione: il colosso siderurgico non aveva altro interesse sull’Ilva se non quello di cancellare un fortissimo concorrente. 

I fatti si sono incaricati di dimostrare che purtroppo le cose stavano in questo modo. Adesso, così, il governo – ma quelli che lo hanno preceduto hanno accumulato ben altre e più gravi responsabilità – si trova nella pessima condizione di dover salire dal suo 32% fino alla maggioranza azionaria, oggi detenuta dal privato, e poi mettersi alla ricerca di uno o più partner. A suo tempo si era fatto avanti, fra gli altri, anche il gruppo Arvedi. E chi potrebbe essere il “cavaliere bianco” di circostanza? Proprio Arvedi, guarda caso. Chiedersi perché queste soluzione non sia stata preferita prima, dunque, non è un esercizio ozioso. Ma tant’è.

Questa dovrebbe essere la settimana decisiva. Il condizionale resta d’obbligo perché la volontà di fare presto non è che sia propriamente segnata da scadenze di legge. Tuttavia è meglio che sia soltanto questione di giorni, se non addirittura di ore, dopo aver mandato al macero oltre due lustri. Fare presto, però, non deve fare rima con fretta, che notoriamente fa gattini ciechi.

Il ministro del Made in Italy Adolfo Urso, tornato in auge dopo le eccessive attenzioni all’Ue rivolte dal suo collega Raffaele Fitto, dice che la nazionalizzazione dovrà essere la più rapida possibile. Ma al punto in cui siamo qualche mese non deve fare la differenza. Cinque cose andranno finalmente messe bene a fuoco: socio privato adeguato, tutela dei siti produttivi, salvaguardia dei livelli occupazionali, strategicità della siderurgia italiana, piano industriale. Non sono questioni che si possono affrontare dalla sera alla mattina e le parti, governo e nuovi soci, dovranno metterci il tempo necessario.  

Magari coinvolgendo in qualche modo i sindacati, senza limitarsi ai pur utili tavoli informativi. Sull’ex Ilva, infatti, sono puntati gli occhi delle decine di migliaia di famiglie che dall’azienda dipendono: da Taranto, a Genova, a Novi Ligure, a tutte le località dove esistano un diretto e un indotto della più grande acciaieria d’Europa. Non a caso dietro la vicenda -  finanziaria, economica, societaria e industriale - c’è una grande questione sociale. E’ di questa che il governo deve avere paura, non dei possibili passi, anche legali, di ArcelorMittal.