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Un ministro della Repubblica fa fermare il treno ad alta velocità che è in ritardo di circa due ore per scendere a Ciampino, tappa non prevista del convoglio. Il ministro è il titolare dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, cognato della premier Giorgia Meloni, e doveva raggiungere Caivano, in Campania, per l’inaugurazione di un parco urbano. È una storia di ordinaria esibizione del potere, che impone alcune riflessioni.

Punto primo: Trenitalia con un comunicato ha fatto sapere che il ministro ha esercitato una facoltà concessa a tutti i passeggeri (?) e, soprattutto, che negli ultimi sei mesi, nel servizio Frecce, “ci sono stati 207 casi di fermate eccezionali”. Fs non chiarisce se in qualcuno di questi casi ci sia stata l’esplicita richiesta di una persona qualunque che stava sul treno. Il dato, tuttavia, resta rilevante: ci sono tantissimi ritardi, troppi, anche per convogli che invece dovrebbero fare della puntualità un proprio must.

Come vadano le cose in Liguria, e in particolare per quanto riguarda i treni regionali, basta chiederlo alla collega Elisabetta Biancalani, che a volte si incazza pure (perdonate il francesismo) vivendo le situazioni sulla propria pelle. Siccome, però, non ha il potere di un ministro, Trenitalia il più delle volte neanche le risponde. Altro che tutti pari sono…

Punto secondo: il “caso Lollobrigida” porta all’apoteosi l’ipocrisia intorno alla mobilità di quanti, a vario titolo, stanno al governo. Nel nome dell’anti-casta e del populismo più becero si sceglie il mezzo pubblico per spostarsi, salvo poi esibire i propri muscoli politici se necessario. E basta! Ministri, sottosegretari e quant’altri prendessero aerei o elicotteri di Stato oppure auto blu, andassero dove devono per motivi istituzionali e la facessero finita. Poi, una volta lasciati gli incarichi governativi, tornassero su treni, bus, auto private o aerei di linea come tutte le persone di questo mondo.

Punto tre: in un Paese normale, a un ministro della Repubblica neppure sarebbe venuto in mente di fermare un treno, sebbene in grave ritardo, per quella che giustamente è stata definita una “fermata ad personam”. Invece ci tocca un ministro che quella cosa non solo se la fa venire in mente, la mette pure in pratica! Nel suddetto Paese normale cotale ministro non resterebbe al suo posto un minuto di più. Ma siamo in Italia, bellezza. Quindi a questa ipotesi neanche ci pensa, Lollobrigida. E men che mai la mette in pratica (ipse dixit).

Punto quattro: Giorgia Meloni ha tutto il diritto di urlare al complotto, perché sembra davvero che ministri, sottosegretari e collaboratori vari siano d’accordo per metterla in difficoltà. Più lei prova ad accreditarsi come premier affidabile, soprattutto a livello internazionale, più quelli che le stanno intorno sembra se le studino di notte per farle di giorno. A ben vedere, però, Meloni deve prendersela anche con se stessa: mica ce li ho piazzati io quei personaggi in quei posti!