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“Addio Novecento”, la bella trasmissione di Mario Paternostro è il titolo giusto anche per l’addio alla città e alla vita di tre illustri genovesi che se ne sono andati negli ultimi giorni di questa estate che non sembra finire mai. Nello stesso giorno abbiamo salutato per sempre le figure di Giuliano Montaldo, il grande regista e uomo di super spettacolo, Gio’ Batta Clavarino, il presidente dell’Ansaldo anni Ottanta-Novanta e Cavaliere del Lavoro e qualche giorno prima si era spento Corrado Magnani, la terza punta del famoso trio con Victor Uckmar e Gianni Marongiu, che aveva portato al successo nel mondo la scuola dell’avvocatura genovese. Esperta soprattutto in diritto fiscale.

Addio Novecento perché queste tre figure nel loro tempo e anche dopo, fino a quando avevano forze hanno “illustrato” Genova, imponendo nei propri campi una eccellenza che era un onore per la città e per l’Italia. Sono stati celebrati, ma neanche troppo, da una comunità genovese riconoscente, ma come sempre un po’ immemore e incapace, salvo rare occasioni, di ricordare. Eppure se abbiamo avuto grandi momenti di attenzione fuori dai nostri aspri confini, lo dobbiamo anche a uomini come quelli. Giuliano Montaldo era ancora, a 93 anni una figura di grande rilievo nella storia cinematografica italiana e non solo in quella. Genovese di radice profonda e sempre rivendicata e vissuta viveva a Roma, dove aveva sfondato nel cinema nel Dopoguerra con coraggio e “resilienza” si direbbe oggi. I suoi successi sono stati bene elencati e sono traccie profonde di uno stile diverso da quello dei grandi registi italiani dalla Storia, ma “forte”, indimenticabile. Era un self made man del cinema, attore poi regista, la sua scorza zeneise era mediata da una ironia e da uno spirito vivissimo.

L’amore per la città era di quelli profondi e generosi, doti rare nel cinema: quel suo film documentario che descrive la Genova degli anni Sessanta, nei suoi aspetti pubblici e anche intimi è un manifesto che dovrebbe essere fatto sventolare oggi per celebrarlo: un inno ai geni della Superba, ai suoi vezzi e alle sue potenzialità. La scena dei camalli che all’alba salgono sulle navi da “lavorare”, quei volti, vere maschere di attori inconsapevoli, descrive il nostro porto meglio di mille inchieste e interviste. Gio Batta Clavarino, che muore dritto come un monumento a 95 anni, chiedendo fino all’ultimo respiro della “sua “Ansaldo, di cui continuava a informarsi come se avesse potuto e dovuto decidere ancora qualcosa, è il Novecento della potente industrializzazione parastatale, poi della sua trasformazione ( di cui fu uno degli artefici) e poi del suo difficile tramonto.

Quella razza lì di manager di Stato, servitori totali, che hanno costruito il bene comune per generazioni e generazioni, brilla oramai solo nella memoria di figure come queste: il figlio di un operaio che studia, sale da solo le scale della grande azienda e arriva in cima e agisce con una visione “pubblica” fondamentale per lo sviluppo con le responsabilità che si è conquistato. Nel Novecento, secolo breve, quante ne abbiamo viste sfilare nelle cattedrali IRI e quanta storia economica hanno scritto, che eredità hanno lasciato? Molta di più di quella che si misura in un mondo così diverso, dove l’Iri non c’è più e l’economia si è globalizzata e ora neppure più quello? Corrado Magnani faceva parte di quella scuola di avvocati genovesi celebri che la fama diventata mondiale di Victor Uckmar aveva imposto come la migliore. Radici professionali profondamente genovesi, base scientifica in un Istituto Universitario di Scienza delle Finanze della mitica facoltà di Giurisprudenza, via Balbi, che ha formato grandi professionisti, ufficio privato  in quegli studi che facevano correre a Genova clienti da dovunque, con Uckmar e i suoi due “cavalieri”, Magnani e Marongiu, quel “blocco” ha forse rappresentato la punta di una eccellenza dell’avvocatura genovese che spiccava in tanti altri settori.

Basti pensare a quello marittimo, con giganti come Ferrarini, Berlingieri, Carbone e tanti altri che poi hanno continuato a mantenere una tradizione così alta e a fare una scuola che continua in tempi tanto diversi e in realtà capovolte dentro a una concorrenza fortissima, allora dominata dai genovesi, oggi contesa ma sempre dall’alto di quelle radici. La nostalgia del Novecento è anche questo, con la domanda anche un po’ autolesionista di cosa resta nel secolo dopo di tanta capacità, eccellenza e grandezza esclusiva. Non solo autolesionista la domanda, ma forse inutile con parametri tanto diversi. La nostalgia, però, è anche un sentimento costruttivo perché recupera figure e valori passati, ma mai cancellati. Come è il caso di Montaldo, Clavarino e Magnani. Addio Novecento, con il permesso di Mario!