Il Bisagno in queste settimane di siccità è arso, così come i cento e cento rivi che dalla collina scendono a mare. E la lezione che mi regala Renzo Piano nel suo studio di Vesima, a picco sul mare, è una lezione sull’acqua.
Quarant’anni fa, ricordo, nel 1980 la mia prima intervista, emozionata e incantata al grande architetto che aveva inventato un museo senza muri, il Beaubourg di Parigi. Ma a Genova aveva avuto l’incarico dal sindaco Cerofolini di ridisegnare il recupero del quartiere del Molo. Forse tutto comincia proprio da qui. Da quando Piano prospettò al Comune di sistemare gli asili sui tetti delle vecchie case in porto, in modo che i bambini godessero dell’aria, dello spazio e del mare che c’era sotto e che era vietato ai genovesi, chiuso ermeticamente da una ferrea cancellata altissima.
Sui vecchi tetti – mi raccontava allora l’architetto – sui vecchi tetti d’ardesia potranno stare gli impianti sportivi, negli abbaini gli asili. Da un tetto all’altro si potrà passare su piccoli ponti. “D’altra parte il concetto dei percorsi sui tetti – diceva – appartiene alla cultura genovese”.
L’idea era anche quella di “rubare la luce al sole con gli specchi per gettarla nei vicoli bui”: “La caratteristica del Molo – concludeva quarant’anni fa – è di essere affacciato sul mare e se Genova dovesse ancora affacciarsi sul mare è da qui che dovrebbe farlo”.
Questa fu la geniale intuizione di Piano quando gli affidarono la progettazione dell’Expo 1992, in occasione delle Colombiane.
L’idea di non realizzare il “quartiere espositivo” fuori città. Ma farlo nel cuore di Genova. Di farlo nascere nel vecchio porto vietato e oscurato, sui moli, insomma, sul mare e nel mare. Da lì è partita la rivoluzione urbanistica di Genova, dal recupero del mare, dal ritorno dell’acqua in città, a bagnare il confine con i caruggi di pietra. Piano è riuscito nell’incredibile operazione di “spostare” il centro della città. O per lo meno di farne due: uno ottocentesco a De Ferrari l’altro contemporaneo nel Porto Antico. Nessuno allora credeva che ci sarebbe riuscito!
D’altronde all’epoca di Mitterand, Piano aveva immaginato per l’Esposizione universale di Parigi un “boulevard flottant” sulla Senna. Così a Genova, fino a allora città di mare senza mare. Incredibile ossimoro!
Rivedere Piano per me è sempre un onore e un immenso piacere non solo professionale. Ecco perché tutte le volte (tantissime) che ho avuto la fortuna di incontrarlo, ho sempre chiamato le sue interviste “Lezioni”.
Anche pochi giorni fa, quest’ultima. E ancora una volta siamo tornati a quarant’anni fa, all’acqua. All’acqua che l’architetto ciclicamente ha restituito a Genova. Dal Molo all’Expo, dalla Torre Piloti al Waterfront di Levante.
Lo afferma senza dubbi: “Mi piace lavorare sull’acqua. Se c’è già. Meglio, sennò ce la porto”. Come ha fatto nel recupero della berlinese Potsdamerplatz. “L’acqua – mi ripete mentre mi incanto della vista sul mare di Voltri – rende tutto bello e la città diventa più fluida. L’acqua ha sempre un effetto benefico”.
La lezione di pochi giorni fa, dopo quarant’anni, non abbandona il leitmotiv: l’acqua è vita e benessere. Mai come oggi.
Ancora una volta: grazie Renzo!
La “lezione di Piano” non cambia. “L’acqua fa bella Genova…”
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