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Caro Babbo Natale,

ho fatto il possibile anche quest’anno per essere una brava mamma. Per questo ti chiedo un po’ di regali.

Per Genova vorrei che i cittadini di Sampierdarena non dovessero più combattere contro i depositi costieri, e che potessero vedere lungomare Canepa finalmente coperta. Vorrei che i residenti di Multedo vedessero togliere la prima pietra di Carmagnani e Superba da sotto le loro case e che il sindaco Bucci vestito da elfo, con una bacchetta magica trovasse una soluzione lontana dalle case di tutti, per il trasferimento.

Vorrei che nessuno in porto (e nelle aziende) perdesse il lavoro per questo.

Vorrei che anche a Natale prossimo la città fosse almeno ancora così bella con tutte le luminarie e l’ottimismo dei commercianti, e che la gente avesse più soldi da spendere.

Vorrei che ci fosse meno traffico e ancora più mezzi pubblici gratuiti, e che in estate si vedessero almeno tutti i turisti che si sono visti la scorsa (sarebbe già un successo!).

Vorrei treni più puntuali e autostrade meno incasinate, vorrei procedere su due corsie, se non tre, non sempre con le antenne tesissime in corsia unica tra gli scambi di carreggiata.

Vorrei meno maleducati che si nascondono nel buio della sera per far fare la popò ai loro cani senza raccoglierla.

Vorrei meno gente che gira senza la mascherina anche se è obbligatoria.

Vorrei che i miei figli e tutti gli studenti potessero tornare a far ginnastica in palestra a scuola invece che guardare film.

E che potessero fare una gita scolastica che non sia la foce del fiume Entella per i chiavaresi (con tutto il rispetto per la foce del fiume Entella, ci siamo capiti).

Vorrei che mia figlia non dovesse più solo indovinare il sorriso di un amichetto "perché anche se aveva la mascherina lo ho visto dagli occhi che mi sorrideva".

Vorrei, come tutti, che finisse il Covid che ci tiene compagnia da due anni. E immagino, se succederà, quando succederà, che ci sia come una grande festa, metaforicamente, su una spiaggia, tutti a ballare scatenati per scrollarsi di dosso la pesantezza accumulata.

Vorrei altri quarant’anni per Primocanale, e poi altri quaranta ancora, perché una tv racconta la realtà, è come un libro di storia che però fa anche vedere, non solo immaginare, e resta a testimonianza di ciò che è stato. E perché è stato un viaggio avventuroso, per nulla tranquillo, mai scontato, e io amo le avventure. Come amo i cieli azzurrissimi ma sporchi di nuvole, il sole che colpisce un promontorio ligure tutto verde, con sullo sfondo il cielo nero.

Un abbraccio ai miei cari colleghi, che siamo tutti matti!

Buon Natale a tutti e Buon anno.

Preparando la docu-serie di Primocanale, che andrà in onda da fine gennaio sulla storia delle grandi famiglie imprenditoriali (e non), ho scoperto la grande capacità di rischio, di coraggio, di iniziativa dei zeneisi. Bella scoperta!, si potrebbe dire, ricordando l’epopea del nostro popolo, i suoi eroi, i suoi capitani, i suoi scopritori, appunto quel gene secolare che ha segnato Genova non solo nel suo mitico secolo d’oro ma avanti, sempre più avanti fino ad oggi. Anzi fino a ieri.

Dove sono finiti questi geni coltivati nel nostro mare, il mare delle tre religioni a confronto, del marranismo, delle grandi praterie blu dove la nostra bandiera era invidiata, temuta e perfino copiata dalle potenze mondiali? Dove è finito quell’estro coltivato in questa stretta striscia di terra, tra le colline e il mare che faceva sostenere dal grande Fernand Braudel che in verità il territorio di Genova è molto più grande: si estende lungo quel mare, capace di essere attraversato per conquistare, per dominare, per scoprire?

Mi è venuto il dubbio che sia sparito il gene genovese, che i temi moderni l’abbiano annientato, magari bruciandolo in un altoforno di quelle acciaierie che per decenni, dagli anni Cinquanta a oggi, hanno in parte soffocato la nostra capacità imprenditoriale, esaltando il pubblico, riducendo il privato sotto un ombrello protettivo.

Ho pensato che anche la capacità di battere moneta e di  trafficare con i soldi, inventando le banche e il tasso di sconto, sia finita a fondo tra scandali, clamorose defaillance, in un mondo globalizzato, finanziariamente tanto grande da ridurre i nostri forzieri a pulci. Ho visto estinguere quasi del tutto la razza armatoriale, probabilmente la più ancestrale, cullata da quel porto ombelicale, dove si continuano a combattere battaglie epocali contro monopolii, esclusive, padronati che si susseguono, da quelli affascinanti dei camalli a quelli dei liners moderni, potenti ovunque, capaci di dettare leggi e rotte, scavalcando le nostre banchine oramai insufficienti, strette per i giganti del mare, che appaiono all’orizzonte come mostri.

E potrei continuare a raccontare il destino di quei geni, forse sperduti, forse solo addormentati, deviati altrove dai ritmi di quella globalizzazione.

Ma nel giorno di Natale, alla vigilia di un altro anno, nella tempesta della pandemia, preferisco tornare a Dynasty, confidare in quello spirito di tradizione, di forza, di coraggio, di rischio, di retaggi, di sfide vinte o magari anche perse, ma con onore, che è cresciuto su questa scena impareggiabile.

Avremo un porto più grande, con la nuova diga. Avremo nuovi centri di eccellenza informatica, tecnologica. Avremo, se Dio vuole, nuovi collegamenti, dopo i decenni dell’isolamento di strade e ferrovie.

Su quelli correranno i geni genovesi che non possono essersi disintegrati. E’ una preghiera di Natale. E’ un augurio per il 2022.

L’intellettuale del turno serale (21/24, panino salame Cacciatorino e rucola preparato dal cuoco e consumato a casa), esperto di comunicazione, ex consigliere in Rai, Alberto Contri, non ha sopportato le obiezioni dello scienziato in studio ma incalza strillando, urla, si alza in piedi, sbraita: "Mascalzone, ridicolo". Poi, l'ex corrispondente della tv pubblica, passa alle allusioni personali al giornalista accanto: "Io di lei mi ricordo le note spese!". Alla fine abbandona lo studio furente lanciando per l’aria i suoi preziosissimi appunti copioincollati da Internet.

Volano stracci nelle prime serate televisive nazionali (quelle che iniziano, se va bene, alle 22:40!). I nuovi protagonisti richiamati per alzare l’audience e rivitalizzarlo, sono adesso gli intellettuali, meglio ancora se filosofi o fancazzisti ideologi a gettone. Lo scontro frontale che si è più visto in questi mesi (Sgarbi dove sei?) fa capire la nuova tendenza della tv-spettacolo che si accende sul grande problema della pandemia.

Da una parte invitiamo Matteo Bassetti, Roberto Burioni, Ilaria Capua, e dall’altra, dopo aver esaurito gommisti, bagnini, parrucchiere, chiamiamo intellettuali stanchi e bolsi per dare loro il penultimo quarto d’ora di celebrità (l’ultima spiaggia sarà a Citofonando sul 2, Raidue, con Paola Perego e Simona Ventura e un cartomante bizzarro). Ecco che l’intellettuale del turno serale (panino, Cacciatorino, rucola e Philadelphia) è tornato alla ribalta delle cronache soprattutto perché rappresenta l’area no-vax/no-pass tanto da aver partecipato alla riunione di Torino della cosiddetta “Commissione Dubbio e precauzione” di cui fanno parte, tra gli altri, i filosofi Massimo Cacciari e Giorgio Agamben. Non solo, tra loro c’è anche un peso massimo dei media (privatissimi e pubblici) come il savonese Carletto Freccero che aderisce alla “Commissione”. Mica pizza e fichi.

E così nell’arena gestita da conduttori/trici smarriti da questa nuova ondata di sproloqui isterici, sono scesi gli intellettuali, gli intelligenti per antonomasia, a fare le pulci (non nel senso degli insetti privo di ali) agli scienziati quelli veri, quelli che hanno studiato 30 anni sui libri di Medicina.

Il cortocircuito informativo è a senso unico. Ed è qui che pretendiamo una svolta, un’inversione. Ma perché i virologi non possono controbattere le tesi filosofiche dei vari Cacciari, Agamben, Freccero?
Perché non possiamo trovarli in un bel sonnacchioso pomeriggio domenicale su Raitre, al cospetto del felpato e vellutato Augias, a ribattere alle loro tesi?
Perché Bassetti non si permette di confutare Aristotele a Cacciari?
Perché Capua non si permette di smontare la Critica della ragion pura ad Agamben?
E perché Icardi non si permette di negare la filosofia kantiana tanto cara a Contri?
Mah, non lo so.
Eppure per i professionisti, funamboli delle parole, sarebbe un attimo passare dal no Vax al sì Marx (abbandonando poi infuriati lo studio tv).

Natale è la festa dei bambini ed è il rimpianto di chi non ha trovato posto in nessun posto smarrendosi in se stesso. Per la seconda volta è un presepe di guerra e chissà se sarà l'ultima, le sirene non sono gli allarmi aerei ma le ambulanze. Cerchiamo la Cometa in un cielo rannuvolato, aspettiamo i Magi in cammino da Oriente che ci riportino le serate in pizzeria, i film visti al cinema, i concerti in piazza, gli stadi, i sorrisi oggi velati da un sipario di garza sterile, insomma che ci riportino la vita. Gli abbracci, i litigi, il volo scriteriato dei fogli dal calendario.

Sotto l'albero, in pieno Avvento, nella clandestinità di una sala buia e deserta, abbiamo trovato immedesimazione nella storia di un ragazzo solitario, anaffettivo, curioso e diffidente delle donne, ostaggio di una dannata intelligenza celibe, che intuisce Natale nell'apparizione di Maradona in quella città di fantasmi, che da sempre fa l'amore con la morte. Soltanto chi ha avuto nel calcio l'unica scorciatoia al mondo degli altri può riconoscersi nella storia di chi sia stato graziato dal buio per effetto della "mano di Dio". In quella pellicola c'è la malinconia e il mistero del calcio, ancor più profonda in questo 2021 che a Genova per molti, insomma quelli della mia parte, ha trasformato o forse sfigurato purtroppo anche quel che credevamo fosse il pallone, o meglio la nostra giovinezza a veder correre sull'erba una sfera di cuoio piena di niente, accanto a quelli che spesso sarebbero diventati i compagni di viaggio del resto del tempo.

Natale non cade mica sempre a Natale. Quando arriva il 25 dicembre, ci si guarda attorno e si calcola il peso delle assenze. Specie chi non è più figlio senza essere padre. Il ragazzo di Sorrentino giunge anzitempo alla cognizione del dolore, quanto deve essere costato al regista inscenare su un set la morte invisibile dei genitori, soffocati da un nemico invisibile come il morbo che ci attanaglia il presente, esorcizzandola con il terrifico espediente grottesco - Lynch più che Fellini - di una belva baluginante dietro un vetro. Questo strano Natale sotto il vulcano corre tra l'inizio e la fine di un racconto dei racconti, in mezzo c'è la vita che è scadente e per questo sia benedetta l'arte: persone brutte e grette e banali, come quasi tutte quelle vere, osservate con spietato realismo per interpolare in commedia l'allusione e l'arrivo del Bambino.

Ma siamo a Napoli e il Bambino è il Monaciello, una delle presenze occulte di una tradizione intraducibile. Viene a sconvolgere il destino come accadde a Betlemme. Ed è un Monaciello non dispettoso ma benevolo, col volto di chi sotto le stelle di mezzogiorno del Messico aveva spacciato un borseggio per intervento divino, un bambino dal destino fiammante e infelice incontrato in viaggio nella desolazione di una stazione abbandonata, nel tempo in cui le stazioni hanno preso il posto delle cattedrali e vi si officia la liturgia dei ricongiungimenti e degli addii.

La Messa di tutte le mezzanotti è quella di Buzzati e di Montale, nella basilica di vetro e ferro della Centrale. Ai primi del Novecento dalle Puglie ci era arrivato dal Sud il padre di Vincenzo Jannacci, "medico e artista" come ha voluto titolarsi al Famedio, Chaplin milanese che prima di entrare nel buio avrebbe così salutato un Natale non ancora di guerra come questo: Se il Nazareno tornasse, ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce lo meritiamo, eccome, però avremmo così tanto bisogno di una sua carezza.

Chi l'avrebbe mai detto che Piero Montani sarebbe tornato sulla tolda di Banca Carige? E chi l'avrebbe detto che Flavia Mazzarella, dirigente alle privatizzazioni quando direttore generale del Tesoro era l'attuale premier Mario Draghi, sarebbe stata la presidente della banca che convolerà a nozze di Carige? Questo e altro ancora accadrà grazie alle nozze con Carige. Sempre più possibili e probabili dopo che il consiglio d'amministrazione di Bper (Banca popolare dell'Emilia Romagna) ha deciso di aderire alla proposta del Fondo interbancario tutela del risparmio (Fitd) e Cassa centrale banca (Ccb), che aveva rifiutato l'offerta annunciata lo scorso 14 dicembre da Bper, ma non aveva affatto chiuso la porta.

Vanno i soffitta le richieste di Bper ( acquisto della banca genovese per un euro, Opa sul 12 per cento circa delle azioni e un miliardo di ricapitalizzazione da parte di Fitd e soci), però nessuno strappo. Anzi, si ha la conferma della sensazione positiva avuta anche di fronte al primo "no" di Fitd: c'erano degli ostacoli tecnici (a un miliardo il fondo non ci può arrivare per Statuto), ma l'offerta di Bper aveva molti requisiti per essere bene accolta e, soprattutto, la politica riteneva che il dossier in qualche modo dovesse andare avanti.

Del resto era impensabile che un navigatore accorto dei marosi bancari come Montani fosse uscito allo scoperto senza aver sondato, in precedenza, la disponibilità di Fitd, Ccb e dei principali azionisti del fondo, vale a dire Banca Intesa e Unicredit. Verificata di sicuro, inoltre, la buona predisposizione della politica. Si era parlato anche del possibile interesse per Carige da parte del fondo Cerberus e del Credit Agricole, ma sul tavolo non esiste alcuna altra offerta formale oltre a quella di Bper.

Di sicuro l'istituto che ha sede a Modena può contare su un atteggiamento favorevole di tutte le possibili controparti, perché la volontà generale è chiudere una volta per tutte la vicenda Carige. Inoltre, a deporre per un esito felice del negoziato, ci sono le ottime relazioni che Montani ha da sempre in Bankitalia e quelle della presidente di Bper Mazzarella con Draghi, insieme con il quale ha lavorato al Tesoro.

Per paradosso c'è pure di più. A corollario di una storia che sembra nata dalla mente di uno sceneggiatore, bisogna sapere che quando si scrive Bper si legge Unipol, visto che il gruppo assicurativo è il principale azionista della banca emiliana. E Unipol era il chiodo fisso di Giovanni Berneschi, l'ex presidente di Carige finito nei guai: aveva costruito persino un piano industriale pensando che fra le due realtà fosse possibile un matrimonio. All'epoca non c'era reciprocità su questa posizione, ma in qualche modo era scritto nel destino dell'istituto ligure che la sua storia potesse continuare così.

Continuare non è un verbo casuale, perché Montani rappresenta la migliore garanzia della volontà di inserire Carige in un contesto vincente. Di fatto, quello che nascerà sarà il quarto polo bancario italiano, con cinque milioni di clienti e oltre 150 miliardi di attivo e per Montani questo rappresenterebbe una grande soddisfazione. Come per il principe Cesare Castelbarco Albani, presidente di Carige ai tempi di Montani e pure lui defenestrato dai Malacalza.

Pur tra mille difficoltà, quella di Carige sembra dunque una storia che può finire bene. "Non è una banca dal salvare" ha detto della banca ligure il suo amministratore delegato Francesco Guido. E in effetti è così. Ma lo stesso Guido ha aggiunto: "Quella di Bper è sicuramente una opportunità". È un po' più di così.