cronaca

In quel caso i social network furono in grado di fare da cassa di risonanza e moltiplicare la solidarietà
3 minuti e 23 secondi di lettura
È ancora vivido il ricordo, anche se un po' confuso, del giorno dopo di quell'alluvione del 2011 a Genova negli occhi di quelli che poi sarebbero diventati gli Angeli del Fango. All'indomani di quel tragico 4 novembre, in cui molti di loro si erano trovati sotto la pioggia incessante, colti alla sprovvista dalla portata di quell’ondata di maltempo, appena usciti da scuola o dall’università, era partita dai social e anche dalle immagini della diretta di Primocanale la catena di solidarietà che abbracciò la città.

 
“Subito non capimmo la portata di quanto era accaduto. Io abito a Sturla e nella mia zona i danni non sono stati così estesi. I cellulari, inoltre, non prendevano ed era difficile mettersi in contatto con i compagni di classe o amici che abitavano in altre zone”, ricorda Simone Ferrero, che all’epoca aveva 15 anni, intervenuto nella trasmissione di Primocanale dedicata al ricordo di quei giorni. “Accendendo Primocanale ci siamo resi conto dell'entità dei danni e della sofferenza delle persone, non appena è stato possibile la spinta è stata subito quella di organizzarci per cercare di dare un contributo, seppur piccolo nei confronti di quanto era accaduto. La cosa che mi è rimasta più impressa è stata vedere la maggior parte dei miei coetanei sentire il bisogno urgente di fare qualcosa”.

 
Stivali, guanti e una pala per spalare, per dare una mano a chi nel fiume aveva perso tutto, per ripulire e far rialzare la città tutti insieme. Furono centinaia i giovani che si riversarono per le strade. I dettagli non sono più così nitidi, dato che da lì a pochi anni dopo, nel 2014, la pioggia e il fango avrebbero di nuovo sommerso Genova. Ma le immagini di quello che ognuno trovò nei negozi, nelle case, nelle strade invase dal fango nel Bisagno sono indelebili.

“Ricordo un momento in cui mi trovai vicino alla stazione di Brignole, in un sottopasso completamente al buio e invaso dal fango, dove non riuscivi a vedere le persone che stavano lavorando assieme a te, sembravano delle ombre”, è la prima cosa che viene in mente a Federica Torresi, allora studentessa di ingegneria. “Oppure un bar dove c'era un frigorifero completamente invaso dal fango, con tutti gli alimenti distrutti dalla potenza dell'acqua: questo ricordo moltiplicato per tutti coloro che hanno subito danni quel giorno è qualcosa che speriamo di non rivedere mai più”.

 
All’epoca era appena nato Facebook e i social vennero invasi di immagini di giovani sporchi e impegnati per la città, immagini che poi furono anche oggetto di polemica. “Non mi pare di aver visto nei giovani il fare le cose per farsi vedere, né allora come oggi. Ma semplicemente penso che i giovani rimbalzino attraverso i social la loro vita con molta semplicità e naturalezza, a volte questo non viene capito da noi adulti e viene visto con superficialità”, commenta Guido Gallese, responsabile della pastorale giovanile di Genova nel 2011 e attuale vescovo di Alessandria. “I giovani invece fanno le cose, le vivono, le condividono magari e ne colgono poi appieno la profondità, portandola nel cuore e nella vita”.
 
 
In quel caso i social network furono in grado di fare da cassa di risonanza e di moltiplicare la solidarietà. E le emozioni di quei giorni verranno tramandati anche negli anni a venire. Come ha fatto Carola Astuni, allora ventenne e oggi mamma di due bambine: “Proprio tre giorni fa neanche a farlo apposta stavo leggendo un libro a mia figlia più grande e si parlava di un fiume che straripava e di questi protagonisti che andavano ad aiutare coi sacchi per arginare il fiume. È capitato quindi che le ho raccontato che avevo partecipato anche io ad un fatto simile, per aiutare le persone che erano rimaste coinvolte da questa vicenda che è successa Genova tanti anni fa”.




(Foto di Sabrina De Polo)