cultura

Trascurati dalla città i 125 anni dalla nascita del premio Nobel per la letteratura
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Ieri, 125 anni fa, nasceva a Genova il poeta Eugenio Montale, premio Nobel per la letteratura nel 1975. Primocanale lo ha ricordato con un ampio articolo sul sito e con una lunga intervista televisiva con la professoressa Rosa Elisa Giangoia, che di recente ha curato per conto della Fondazione Zavanone il libro della nipote, Bianca Montale, intitolato "Una sciagurata coincidenza, zio Eugenio ed altri ricordi".



Ma in una giornata così importante Genova si è ancora una volta dimenticata di uno dei suoi figli più illustri, a cui nulla o quasi è stato dedicato. E' vero che Montale con la sua città natale ebbe un rapporto non propriamente idilliaco: trovò lavoro a Firenze e poi Milano, i suoi resti riposano nel cimitero di San Felice a Ema, in Toscana. Ma il poeta a Genova, oltre a nascere in un palazzo dell'attuale corso Dogali il 12 ottobre del 1896, crebbe e studiò. Per non parlare della Riviera, da Rapallo a Monterosso, frequentata con la famiglia e di vitale importanza nella successiva ispirazione poetica.



Eppure, è come se Eugenio Montale nulla abbia a che fare con Genova. Più o meno come per un altro grande figlio di questa patria prolifica di talenti ma irriconoscente ed ostile, Niccolò Paganini, al quale sono intitolati il Conservatorio, un illustre premio per violinisti e altre lodevoli iniziative, è vero, ma il cui nome dovrebbe essere associato anche e soprattutto a quello del Teatro dell'Opera di Genova. Che, invece, si chiama... Carlo Felice, Re di Sardegna.



Tutto sommato persino Cristoforo Colombo non se la passa tanto bene, probabilmente nel nome del politically correct: per capire che quella di piazza Dante è casa "sua" bisogna prima fare lo slalom tra gli scooter e poi leggere un cartellino accanto ad una porta quasi sempre sbarrata ed un chiostro preso d'assalto dagli amanti delle pause pranzo all'aperto (spesso dagli amanti e basta). Non un figurante ad accogliere lo spaurito turista, che tuttalpiù può intuire qualcosa dal venditore abusivo di calamite con l'effige del grande navigatore.



Sul perché e per come di questo atteggiamento verso i grandi protagonisti della storia genovese e mondiale si potrebbero scrivere trattati di sociologia, fors'anche di antropologia. Sul perché e per come Genova si ricordi più di Fabrizio De André (soprattutto) e Paolo Villaggio (leggermente meno) - grandissimi e degni, per carità, potrebbero fare parte della compagnia degli illustri ma non detenendone il monopolio - anche.



Ma, restando a Montale, trattandosi di un esponente del pensiero, forse paga il fatto di non essersi mai allineato all'egemonia culturale del Paese in generale e di Genova in particolare: "Né chierico, né rosso, né nero", ebbe a dire una volta. Tant'è che partecipò alla vita politica nelle fila di due partitini, si diceva allora, come il Pri e il Pli, innocui e, tranne pochi casi della storia, ininfluenti. Specie a Genova l'elite culturale è invece sempre stata di sinistra, prodiga solo verso i cantori che ne hanno sposato la causa.


E' pur vero che oggi l'antica Repubblica marinara è nelle mani di un Doge tutt'altro che rosso e dunque anche questo "alibi" sarebbe venuto a decadere. Ma la (brutta) musica non pare cambiata. E Genova con Eugenio Montale si è confermata ancora una madre cattiva. Verso di lui e verso chi in generale le ha dato tanto, magari non in termini propagandistici, ma raggiungendo le vette più alte nel proprio campo espressivo.


L'unica, magrissima consolazione sta nel fatto che il sommo poeta è sempre in buona compagnia con Paganini, ma anche con lo straordinario regista Pietro Germi e con tanti altri. Così Genova, anziché la Patria di Colombo, Paganini e Montale, resterà sempre e solo la città dei cantautori e del pesto.