cronaca

Scompare a 84 anni lo storico direttore del quotidiano fondato nel 1824, chiuso sei anni fa
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 Lutto nel giornalismo genovese. E’ morto a 84 anni Mimmo Angeli, dal 1978 al 2015 direttore del “Corriere Mercantile – Gazzetta del Lunedì”. Cresciuto in redazione, grande inviato sui fatti di nera e giudiziaria e del terrorismo, un formidabile fiuto per la notizia, guidò lo storico foglio del pomeriggio, fondato nel 1824, dalla costituzione in cooperativa di giornalisti e poligrafici fino alla chiusura, il 27 luglio 2015 (nella foto, Angeli con i suoi redattori). Fino all’ultimo ha lavorato per riaprire quella che considerava la “sua” creatura. I funerali martedì 4 maggio alle 10 a San Francesco di Albaro. Alla famiglia le condoglianze di tutta la redazione di Primocanale e dai suoi ormai antichi allievi Maurizio Michieli, Michele Varì e Stefano Rissetto.

Come quando chiudevamo il giornale e si restava a far notte nella sua stanza, fino al “Ma ce l’avete una casa, una famiglia?”, così adesso facciamo la stessa cosa tra noi ma il Dire non c’è, perché stavolta la notizia è lui. Mimmo Angeli se n’è andato senza riuscire a chiudere il cerchio, ogni volta parlava di riaprire il giornale che era stato la sua vita. La nostra vita, perché eravamo entrati lì dentro convinti di sapere tutto e in cinque minuti lui ci aveva invece fatto capire che dovevamo ancora imparare il resto di niente. Nel frattempo siamo invecchiati ma anche grazie a lui, alle sue sfuriate venate di complicità e cameratismo, ai suoi consigli che non si potevano rifiutare, abbiamo creduto di diventare giornalisti.
Abbiamo gli occhi lucidi e ci si rompe la voce, perché questa scomparsa è la fine anche della pagina più bella della nostra professione, diciamo pure vita. Non si era mai scomposto di fronte ai peggiori delitti, ai brigatisti al telefono diceva per esempio di “mesciarsi” a mettere il comunicato nel solito cestino, perché la chiusura del giornale non poteva aspettare. Nascondeva bene la timidezza dietro un velame di cinismo. Però almeno una volta ci capitò di vederlo quasi piangere, ma era stato un attimo. Eravamo nello stanzone di via Archimede, la redazione che era stata un cinematografo, era l’ultimo giorno di lavoro prima della fine, tenne un breve discorso e non riuscì a finirlo. Era l’ultimo venerdì di luglio del 2015, da allora ogni volta che parlava con qualcuno dei suoi ragazzi diceva che lavorava alla riapertura. Forse è stupido, in questi momenti vengono in mente anche idee stupide, ma la sua vera morte era stata quella del “suo” giornale, da allora era sopravvissuto a se stesso col solo vincolo di non arrendersi alla nostalgia.
Sul lavoro capitava di incontrare primi violini e direttori d’orchestra come Anselmi, Garimberti, Pansa e se gli facevi la parola “Mercantile” ti dicevano “Salutami Mimmo”. E ti ricordavano gli anni del terrorismo, ruvida palestra della loro generazione, gli aneddoti della loro carriera comune, il rispetto per quell’accademia militare di incursori subacquei che era stato il nostro “sottomarino giallo”, lo chiamavamo così perché all’ultimo era una grossa cabina senza finestre, dipinta nello stesso colore della canzone dei Beatles.
Aveva governato una redazione indocile, rimesso nel termometro il mercurio cascato a mobilissime gocce per terra, la faceva comunque funzionare e tenere il mare sempre più agitato, contro avversari più grandi e potenti, eppure ogni mattina cerchiando a pennarello l’edizione le cose che non andavano c’erano eccome, perché tutto si poteva sempre fare meglio, però erano anche molte le cose che avevamo fatto meglio degli altri. Ti stava addosso anche sulle didascalie delle foto, sul titolo, sul servizio fatto non come voleva lui, per la devozione al senso della notizia e del rigore.
Ha raccontato col suo “Mercantile” decenni di una città che andava cambiando, mentre il nostro giornale era tra le poche cose che “navigavano sulle onde del tempo”, come aveva scritto Montale per il 150enario, mentre vent’anni dopo era stato Tabucchi a scrivere una pagina intera sul giornale della città che per un po’ era stata sua. Ha vissuto come un soldato nella sua caserma di via Archimede, ogni giorno dell’anno dalla mattina alla sera, una lunga fedeltà a una professione che a farla bene si sovrappone alla vita.
Quando ha chiuso il giornale, ci siamo sentiti tutti orfani, anche quelli che lavorando ci eravamo riempiti di cicatrici, senza sapere che erano medaglie al merito. E speravamo che il Dire, gli abbiamo sempre dato del lei e anche adesso fatichiamo a passare a quel “tu” che si dà a distanza, un giorno ci chiamasse per dirci: ho trovato i soci, adesso riapriamo, ci vediamo domani nella nuova sede. In quell’estate di sei anni fa ci trovavamo a fluttuare nel nulla, nelle giornate improvvisamente piene di ore troppo grandi e troppo vuote. Io andai a cercare nei registri e negli archivi dove fosse il fondatore, l’uomo che nel 1824 aveva aperto il “Prezzo Corrente Generale del Porto Franco”. Dopo settimane di investigazioni alla Berio e nei registri delle parrocchie e di Staglieno, mi trovai finalmente di fronte alla statua di un angelo senza più un’ala e con un piede rotto. Era una cosa da opera buffa, molto da “Mercantile”, nel nostro stile di fanti all’assalto sempre incalzati dal tempo e dalla carenza di risorse, l’avrei voluta raccontare al Dire ma solo il giorno che davvero fosse riuscito a riaprire. Noi tutti speriamo che si sia addormentato pensando che tutto si potesse fare meglio, che ci fosse sempre un dettaglio sfuggito o fuori fuoco, che la vita non fosse che un gigantesco refuso, un buco preso per sfortuna. Buon viaggio Dire, la tua redazione, ce ne hai fatte patire e te ne abbiamo fatte patire, è stato bellissimo.