cronaca

L’operazione è immane, molto più complicata di quella del ponte
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La seconda ondata della pandemia e tutte le sue conseguenze hanno un po’ allontanato la memoria della grande impresa di avere costruito il ponte San Giorgio. Eppure il valore di quel “miracolo”, che si ascrive certamente a circostanze eccezionali, ma anche all’unità, alla abilità, alle competenze, alla determinazione dei genovesi, intesi come popolo, non va disperso e non solo per inorgoglirsi. Non sappiamo se è vero che in quella impresa c’è stato “il metodo Genova”, se questo esista veramente o se sia solo il frutto di una procedura eccezionale, di deroghe e di regole “una tantum”.


Ma quello che è certo è che quel modello va replicato per affrontare i nodi cruciali del nostro sviluppo, che oggi appaiono molto più intricati nell’infuriare della pandemia. Sarebbe bello che quella struttura commissariale che ha permesso l'"operazione san Giorgio" venisse tenuta in piedi ed applicata a qualche altra operazione difficile da realizzare su un territorio dove i ritardi, le lentezze, le indecisioni hanno frenato per decenni grandi e piccole opere, dalla fantomatica Gronda (della quale non si parla più), al Terzo Valico, che sta arrivando, ai tunnel e alle gallerie, ai nuovi collegamenti ferroviari e autostradali e stradali che marchiano il nostro isolamento.

Ma purtroppo quel modello non è replicabile perché discendeva da una legge eccezionale. E’, invece, replicabile lo spirito degli uomini e delle donne che hanno compiuto l’impresa. E a me pare anche che ci sia già all’orizzonte un obiettivo che quello spirito e non solo quello possono “mirare”. L’obiettivo è la rinascita del nostro centro storico, un vero e proprio “cluster” di abbandono, di occasioni perdute, di mancate promesse, di tentativi falliti e nello stesso tempo la chiave di una rinascita genovese.

Il centro storico può veramente essere il "nuovo ponte di Genova”. L’amministrazione comunale lo ha già messo tra i suoi obiettivi e il piano che lo riguarda è allo studio da due anni, nei quali sono stati approfonditi tutti gli aspetti di una possibile resurrezione, non solo quello urbanistico metropolitano, ma anche quelli sociali, ambientali, commerciali. Il piano sta per essere varato e dovrebbe volare su finanziamenti consistenti, dell’ordine di 738 milioni di euro. Ma l’operazione è immane, molto più complicata di quella del ponte.

Generazioni successive di amministratori e politici hanno invano cercato di metterci le mani. Sono tanto vecchio da ricordare quei grandi sei architetti che tra gli anni Settanta e Ottanta avevano “ridisegnato” i carruggi e gli infiniti dibattiti sul tema. Solo grazie a una grande figura come quella di Edoardo Benvenuto, che portò a Sarzano la Facoltà di Architettura, il centro storico o la “città antica”, come la chiamava quel geniaccio di don Gianni Baget Bozzo, ha avuto qualche apertura, qualche spiraglio. E solo a Renzo Piano e al suo Porto Antico del 1992, qualche altro spiraglio si è aperto a sud dei confini di questa frontiera. Oggi questo progetto, che la giunta di Bucci sta per mettere sul piatto e del quale sono già uscite le prime anticipazioni, riprende quelle vecchie piste abbandonate nei decenni.

Si parla di undici piazze da 'creare', di palazzi sentinella da recuperare, di accessi nuovi, perfino di 'diradamenti' da realizzare e di una nuova rete di relazioni da costruire sul terreno più pregiato che Genova ha e dove batte il suo cuore e dove c’è il suo Dna più profondo. In questi tempi cupi quella potrebbe essere una luce che si accende e che fa intravvedere un recupero e un rilancio, una possibilità di lavoro, di occupazione, di nuove occasioni, perfino di nuovi mestieri e professioni. Ma bisogna avere lo spirito del ponte e l’unità di intenti che ha fatto “il miracolo”. Se possiamo chiamarlo così.