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Non hai vie di fuga dal 'seprente'silenzioso
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La Liguria è strangolata, asfissiata da giorni e giorni da un traffico ossessionante provocato dalle chiusure di lunghi tratti di autostrade, caselli e, corsie. Disagi incalcolabili, danni enormi alla salute, all’economia, alle condizioni di vita. Non ci sono molte speranze di
miglioramenti. Questa è la cronaca di un solo viaggio di un vecchio
pendolare della Riviera.

Quando vedi il cartello luminoso
che segnala il tempo di percorrenza del tuo viaggio moltiplicato per tre, quattro, cinque volte il previsto, incominci a capire che sei in trappola. La coda della coda ti si para davanti quasi di colpo, altezza di Varazze, appena superata l’uscita sulla destra per abbandonare il percorso autostradale. Cinquanta minuti per arrivare a Arenzano, centodue per arrivare alla tua destinazione a Genova Aeroporto.

Ti lampeggiano negli occhi i segnali luminosi. Senza un segnale prima, senza un avvertimento, solo la certezza che avevi, in un inizio pomeriggio domenicale, che qualche problema lo avresti incontrato. Ma così no. Così drastico e improvviso no. Davanti a un fiume di macchine e di Tir, un serpente fermo che gioca al surplace per passare da una corsia all’altra in vista dei restringimenti, da una corsia all’altra, quando la strada si riduce da tre a due e poi da due a una: l’imbuto fatale. Sei in trappola e lo sai, ma non sai quanto durerà perché non ti fidi di quel tempo che lampeggia sulla tua testa e piuttosto misuri la lentezza del procedere: il tuo contachilometri che oscilla tra 0 e 10km all’ora.

Non ti fidi della paralisi della tua corsia, dei lenti movimenti di quella di fianco, che improvvisamente si muove, ma solo per pochi metri. Non ti fidi, sopratutto, perché non vedi nessuno, salvo il serpente che ti precede e quello che si è attaccato alla tua di coda e che si allunga, si allunga. Protendi lo sguardo avanti, di lato, sulle corsie chiuse, dove ci sono solo i birilli che segnano il percorso vietato o quelli perentori che indicano il restringimento. Non un uomo, non un casco giallo, non un mezzo posteggiato, non un’auto con il lampeggiante, il deserto totale. Lavori in corso. Quali lavori se qui è tutto fermo, se non c’è una anima viva, neppure un’auto della Polstrada o un mezzo dell’Autostrada? Chilometri e chilometri di serpente silenzioso, che striscia come un verme sui ponti dimezzati, sulle corsie ridotte, quasi azzerate, a perdita d’occhio, o peggio a perdita di targa davanti.

Benvenuti nell’inferno delle Autostrade liguri,
anno 2020, post lockdown. Lo sai e ci cadi in pieno, confidando nel giorno di festa, negli avvisi vaghi di tutti, di Autostrade che segnala solo una chiusura alle 21 al casello di Genova Aeroporto e non ti avverte, mentre entri 80 chilometri prima, che stai per sprofondare nell’abisso della coda. Sei prigioniero, ti bloccano davanti, dietro, di fianco. Non hai vie di fuga. Il piede sul freno e sull’acceleratore, ma solo per sfiorare. E se ti sentissi male e se dovessi per forza accostare e se avessi un’emergenza assoluta? E se la tua auto avesse un guasto? E’ un autostrada maledetta, quante volte lo hai letto?

Non ci sono corsie di emergenza, non ci sono telefoni
, aree di servizio per decine e decine di chilometri. E’ una autostrada fuori legge: in pochi lo denunciano, qualcuno lo urla da tempo, inutilmente, come Maurizio Rossi, quando era senatore della Repubblica e strepitava dai banchi e dalle Commissioni di Palazzo Madama. Lì un volta hanno travolto degli operai al lavoro, morti e feriti, una tragedia. Lì hanno falciato un automobilista, che era sceso per un guasto improvviso. Non è solo una trappola. E’ una trappola mortale e tutti lo sanno da decenni ma nessuno fa nulla. Appunto, denunce parlamentari, appelli,promesse mai mantenute.

E siamo qua per il ventesimo, trentesimo anno di fila. Solo che questa volta la trappola è perfetta. Di colpo hanno deciso di controllare tutto in una volta sola, venti mesi dopo i morti del Ponte Morandi, subito dopo il deserto del lock down, quando le autostrade erano deserte, due settimane dopo l’apertura degli spostamenti interregionali, quando a percorrere  questa strada ci avevi messo 45 minuti e avevi contato cinque altre automobili, nel vuoto totale della pre apertura tra regioni. Volavi quasi sull’autostrada deserta e ora due
settimana dopo stai piantato in mezzo a un fiume ininterrotto. Hanno cominciato a lavorare, quando è ricominciato il traffico. A lavorare?
Continui a non vedere nessuno. Non una traccia. Saranno sull’altra corsia, sul percorso inverso? Ma che cosa ti viene da pensare?

E’ domenica, una tranquilla e bestiale domenica di metà giugno, con la
Liguria che assaggia la prima “invasione” dei piemontesi, dei lombardi, affamati di sole , di mare, neppure intimoriti dal meteo avverso. “Libertà, libertà”, sembra ci sia scritto sui loro cofani, sui parabrezza delle auto “straniere” . Scruti le targhe, cercando di capire da dove vengono, ti chiedi quanta strada dovranno fare per tornare a casa, quanta più di te, genovese in trasferta sulla tua Riviera. Ti chiedi chi glielo fa fare. Pensi all’economia della tua Regione, che vive anche del loro arrivo, del loro passaggio, del turismo che senza di loro andrebbe a fondo. Ma pensi anche a cosa gli stai offrendo da tempo. Oggi autostrade collassate per colpa della Società Concessionaria, che fa i lavori tutti di colpo, chissà perché, ieri in coda ogni week end per andare e venire, ore e ore perse per pagarsi una mezza giornata di sole, mare e un piatto di spaghetti alle vongole in spiaggia.

Code eterne perché è dal 1976
che in questa regione non si costruisce mezzo metro di autostrada, cinquanta centimetri di asfalto nuovo. Lo ha ricordato il sindaco di Genova Marco Bucci, ma tu, vecchio viaggiatore di questa costa stretta, lunga, lo sai da decenni che ci si è fermati trenta, quaranta anni fa. Ti sintonizzi su radio 103,3 Isoradio per sentire se possono offrirti notizie più precise sul calvario. Ma oramai lo stato di crisi della Liguria autostradale non fa più neppure notizia. Citano la tua A10, la A12, la A26, come se fossero pratiche abituali e code fisiologiche, mentre questa volta è la paralisi totale. Da anni la domenica radio 103,3 “apre” ogni suo collegamento dalla Liguria: vorrà dire qualche cosa? Ma siamo sulla radio di Stato e allora più che qualche tono comprensivo non riesci a cogliere dal bollettino della tua catastrofe. Si passa subito al GRA di Roma e neppure più alla Reggio Calabria-Salerno, che una volta era il tormentone, mentre ora lì si viaggia. Mentre sulla XX Miglia-Savona vai a 3 all’ora.

In uno scatto di reazione, angosciato da quel serpente davanti a te di decine di chilometri, claustrofobizzato dalle corsie paralizzate, decidi di uscire dall’Autostrada e di tentare la strada statale. Cerchi un panorama diverso, la possibilità di respirare senza la costrizione delle corsie bloccate, di fermarti se sei allo stremo. Esci al casello di Arenzano, come buttandoti verso l’ignoto, come gettando le carte del poker: è una mossa giusta? E non l’avessi mai fatto! Di sotto, la catastrofe è ancora peggiore. La viabilità urbana è un incubo sconvolgente. In più ci sono i semafori, le rotonde, gli attraversamenti, il traffico cittadino e c’è sempre il serpente che striscia ancora più piano. Ci metterai un’ora e venti a scendere dal casello al centro della ridente cittadina, a percorrere meno di un chilometro, dove la coda diventa una specie di spettacolo in microscopico movimento per il popolo dei bagnanti che sciamano dalla spiaggia e ti osservano con un misto di pudore e compassione.

Vedi la coda salire e scendere per l’Aurelia,
davanti ai tuoi occhi, occupare con il suo non-movimento tutta la careggiata visibile ai tuoi occhi disperati e vedi sullo sfondo la costa genovese verso Genova,
irraggiungibile, un miraggio. In mezzo ci sono pochi chilometri, ma un mare di ruote, parafanghi, cofani, targhe, apparentemente immobili. E poi ci sono i restringimenti, le frane che con i semafori producono sensi unici alternati, perché qui sono cadute frane da decenni e nessuno ci pone definitivo rimedio. Un altro incubo. Arriverai in città quattro ore e mezzo dopo la partenza e i viali alberati di Sestri Ponente finalmente liberi di code, ti sembreranno come la hig street americane a sei corsie.