cronaca

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 Non dimenticherò mai quel venerdì sera 20 luglio 2001 quando nel cuore della notte ero uscito dalla zona rossa per tornare a casa in una città che era, blindata, ingabbiata, divisa e silenziosa di morte. Poche ore prima il ragazzo Carlo Giuliani era morto sull'asfalto di piazza Alimonda, steso come un cristo in croce con il passamontagna sul volto, la maglietta sporca di sangue.

Tornavo a casa dopo una giornata terribile, nella quale il G8 da me tanto temuto nei lunghi mesi della vigilia, dopo ore e ore di una violenza scatenata da una parte e dall'altra, nelle strade infuocate della mia città era arrivato alla tragedia che lo avrebbe segnato per sempre nella storia.

Non riuscivo a trovare la strada di casa perché la città era divisa, separata e per trovarla dovetti compiere un giro lunghissimo, in altri tempi, in altri giorni folle, aggirando le barriere della zona rossa, passando attraverso quella arancione.

Ero nella mia città, in una notte d'estate e sembrava di essere in una zona di guerra. Più di 300 mila genovesi, temendo le violenze, se ne erano andati via. Gli altri, terrorizzati, erano asserragliati in casa come in un gigantesco coprifuoco. Per tutta la giornata avevano seguito, grazie a Primocanale, alla sua storica diretta, le scene di una violenza mai vista: la macelleria messicana delle Forze dell'Ordine, le distruzioni dei Black Bloc.

“Cosa stava succedendo?”, mi chiedevo da giornalista, capo di una grande redazione di Repubblica, dopo avere visto quello che mai avrei immaginato. Era come se Genova si fosse sospesa in un mondo diverso nel quale le principali libertà individuali erano state sospese, la democrazia interrotta. La polizia massacrava i manifestatati, l'ala dura di questi distruggeva la città e in mezzo, come in una bolla intoccabile, i Grandi della terra continuavano il loro vertice nelle stanze di Palazzo Ducale.

Pensavo alle notizie delle torture nella caserma di Bolzaneto, alle cariche con i manganelli "Tonfa" dei reparti di polizia e carabinieri, ai black bloc che avevano distrutto le strade, i negozi, le banche, assaltato perfino il carcere di Marassi e mi tornavo a chiedere cosa aveva provocato quella violenza mai vista nel pieno di un processo di globalizzazione del mondo del quale non eravamo stati capaci di prendere le misure.

Le tute bianche, le tute nere, i cortei pacifici, quelli violenti, la città trasformata, il sindaco Pericu con il megafono che cercava di fermare l'assalto alla zona rossa, i cecchini con il fucile in mano sui tetti di via XX per difendere il supervertice, dove Bush, Mitterand, Prodi, Berlusconi e gli altri grandi discutevano quello che non avrebbe lasciato quasi nulla nei libri di storia. Nei libri, nella memoria sarebbe rimasta quella violenza, quel ragazzo Giuliani, ucciso dalla pallottola del carabiniere Placanica. Genova 2001, luglio, come oggi, una tragedia, un passaggio della storia, tanti processi e una grande ferita della democrazia, che non si è mai rimarginata del tutto, perché non abbiamo capito.