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Le imprese nautiche in lite, gli attacchi alle istituzioni genovesi
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Nautica Italiana raccoglie praticamente tutti i big dell'industria di settore. Dunque, se Enrico Cuccia fosse ancora tra di noi non avrebbe dubbi su chi dovrebbe avere voce in capitolo dentro Confindustria e nel rapporto con le istituzioni. Il teorema Cuccia era semplice: "I voti non si contano, si pesano". Per la serie: tutti uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri. Dalla tolda di Mediobanca, per decenni Cuccia ha gestito la finanza tricolore secondo quel suo principio, radunando i potenti dentro quello che si definiva "il salotto buono" e lì operando all'insegna di una mediazione continua. Come un padrino: ascoltato, rispettato, temuto.

Un contesto nel quale l'imprenditoria italiana ha maturato i peggiori vizi, non solo facendo strame di qualsivoglia forma di democrazia interna, ma soprattutto ritenendo di poter avere molto impiegando poco. Ricordate il "nocciolino duro" di Telecom Italia, una manciata di big che con lo zero virgola qualcosa a testa governavano la più grande azienda delle telecomunicazioni italiane, finché non arrivò il "barbaro" Roberto Colaninno a sparigliare il gioco?

Quel tempo è passato e il lascito di Cuccia non può essere iscritto fra le eredità più nobili del Paese, vista la triste fine che hanno fatto la finanza e l'imprenditoria italiane. Eppure nella battaglia senza esclusione di colpi esplosa nel mondo della nautica qualcosa di quell'epoca si rivede.

Intanto la logica dei voti che si pesano. In Nautica Italiana ci sono le aziende maggiori e sol per questo - secondo la loro visione - Confindustria avrebbe dovuto accettare di federare la loro associazione scissionista insieme a Ucina, da sempre l'organizzazione confindustriale del settore. Viale dell'Astronomia, invece, dice che i voti si contano, vivaddio, e che Ucina continua ad avere la più ampia rappresentatività.

Irritati e offesi, i "magnifici quindici" hanno preso cappello. Continuano a spiegarci che c'è troppa disattenzione verso il settore, che il Nautico di Genova ormai è superato e non ha un futuro, almeno per come l'abbiamo conosciuto, e che loro un salone se lo faranno in proprio, nel mese di maggio, a Viareggio. Non prima di aver sparato alzo zero sulle istituzioni genovesi, colpevoli di essere rimaste sorde ai loro richiami e di un immobilismo che è tragicamente una costante. Ma che nell'occasione appare pure un comodo alibi.

Qui non si tratta di beatificare nessuno, perché quando certi rapporti si rompono è probabile che da una parte e dall'altra ci siano tanto dei torti quanto delle ragioni. E però non si può dimenticare che già al suo insediamento, quindi in epoca non sospetta, la presidente di Ucina Carla Demaria coraggiosamente mise sul tavolo le manchevolezze delle istituzioni locali e di Genova nel suo insieme.

Sull'argomento ognuno può pensarla come ritiene meglio, ma Demaria diede dimostrazione di una cosa importante: le battaglie si combattono dall'interno, assumendosi responsabilità precise nel dire e nel fare. Di Nautica Italiana, con tutto il rispetto, non si può affermare la stessa cosa. I suoi animatori hanno preferito la strada della scissione, anziché cercar di contare una maggioranza di voti con cui dare la scalata al comando di Ucina e da lì imporre, con la forza dei numeri, la loro visione del bene del settore.

Hanno preferito, i "magnifici quindici", radunarsi in un "salotto buono" e da lì pretendere di dettare la loro legge. A dirla tutta, in modo neanche così chiaro. Tutta questa storia, infatti, sembra una guerra di potere legata agli interessi - e magari non solo - dei grandi operatori della nautica, più che la giusta rivendicazione delle esigenze di un settore nelle quali possano riconoscersi tutti coloro che ne fanno parte. Ma oggi non funziona più così.