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La sfida dello statuto e della selezione dei candidati
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Una preselezione che faccia da scrematura iniziale e poi le primarie. Così Alice Salvatore, alfiere nel consiglio regionale ligure, vede la scelta del candidato sindaco per Genova. Dive si vota il prossimo anno. Ma non basta. Nel frattempo, a Roma si discute e si lavora per passare dalla fase del non-statuto a quella dello statuto. Poche regole, ma chiare, con l'evidente obiettivo di creare un'organizzazione che possa supportare i futuri prevedibili impegni istituzionali-governativi, dopo quelli impegnativi già assunti a Roma e Torino.

I superficiali osservatori di cose politiche, o le strumentali osservazioni che arriveranno dagli avversari-concorrenti, non mancheranno di dirci che il Movimento 5 Stelle si accinge a diventare un partito come tutti gli altri, alla faccia della diversità che l'ha portato a essere, secondo la sequenza degli ultimi sondaggi, la prima forza politica italiana.

Tentare di liquidare in questo modo la "mutazione" dei pentastellati sarebbe un ennesimo imperdonabile errore di valutazione. Uguale ai tanti che hanno accolto la nascita dell'M5S e poi hanno accompagnato la convulsa crescita. L'esempio migliore è rappresentato dalla legge elettorale. Il premier, Matteo Renzi, accecato dal 40 e passa per cento conquistato alle europee, ha confezionato un Italicum tagliato su misura del Pd, prevedendo un ampio premio di maggioranza da assegnare al partito vittorioso e non alla coalizione.

Solo che quel 40 per cento è molto dimagrito e oggi il premio probabilmente andrebbe proprio ai 5 Stelle. Da cui le aperture di Renzi a una modifica dell'Italicum. L'M5S quella riforma non la votò, ritenendola una ciofeca, ma oggi giustamente insorge di fronte all'ipotesi di cambiarla, perché è evidente che ogni ritocco sarebbe concepito soltanto per sbarrargli la strada.

Sull'aggiornamento dell'organizzazione interna, i pentastellati si muovono egualmente nel solco di una coerenza che onestamente non sembra venire meno. Finora hanno rispettato tutti gli impegni presi, dal no a qualsiasi alleanza al votare, in Parlamento come negli enti locali, i provvedimenti condivisi, pur rimanendo all'opposizione. Non si capisce perché le cose dovrebbero andare diversamente sol perché si accingono a decidere un salto di qualità operativo.

Dotarsi di uno statuto e andare a una selezione delle classe dirigente, mantenendo però una cinghia di trasmissione con la base, è esattamente ciò che occorre per passare dalla fase di pura opposizione a quella di caratterizzarsi come forza di governo. Di più, dire che diventeranno per ciò stesso come gli altri partiti è sbagliato proprio perché gli altri partiti, dai maggiori ai minori, sono andati caratterizzandosi per lo scollamento dalle loro basi e, in generale, dalla vita reale.

Se a Roma come a Torino, e in altre realtà, l'M5S ha ottenuto un ampio consenso nelle cosiddette periferie, una ragione deve pur esserci. Colpa degli altri, ma anche capacità di ascolto che non è venuta meno.

A partire dal Pd, se le altre forze politiche non vogliono ampliare il successo dei pentastellati - magari cominciando da Genova nel 2017 - più che irridere il cambiamento del Movimento faranno bene ad attrezzarsi con una nuova sensibilità verso i cittadini, con programmi seri e con un profilo di legalità a prova di corruzione e di malaffare. Il resto è bla bla politicante destinato a essere spazzato via.