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Dietro l'opera stradale e la privatizzazione dello scalo genovese
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"La gara ci sarà, l'Europa vigila". L'ammiraglio Giovanni Pettorino, commissario dell'Autorita' portuale, che con il 60 per cento è il maggiore azionista del "Colombo", e Marco Arato, presidente della stessa società aeroportuale, con quelle parole hanno rimesso le cose nel loro ordine naturale. La privatizzazione dello scalo genovese non può che passare attraverso una pubblica competizione fra più pretendenti, possibilmente di nazionalità diversa.

In qualsiasi Paese vigano le regole del libero mercato, la circostanza non dovrebbe meritare neanche un attimo di dibattito. Ho il forte dubbio, invece, che se un senatore della Repubblica, il ligure Maurizio Rossi, non avesse alzato il velo sul tentativo di realizzare un'ardita operazione di compravendita fatta in casa a favore di Aeroporti di Roma (Adr) fra qualche mese saremmo stati qui a parlare d'altro. Compreso un prevedibile è possibile intervento dell'Ue, proprio per dirci che così non si può fare.

Certo, la storia è ben strana. Prima il "Colombo" faceva tanto schifo da indurre Adr a chiedere e pretendere che il suo 15 per cento venisse messo in vendita insieme con il 60 per cento dell'Autorita' portuale. Adesso, invece, il "Colombo" è così appetibile che la medesima Adr vorrebbe mettere le mani sulla maggioranza azionaria seguendo la scorciatoia dell'acquisto diretto dal socio più rilevante.

Che cosa è cambiato in questo lasso di tempo? Per quanto lo scalo aereo genovese possa aver compiuto qualche passo avanti, non si vede come la situazione si possa essere modificata al punto da capovolgere l'atteggiamento di una azienda che giustamente guarda al proprio business.

Magari, c'entra la Gronda, come un po' maliziosamente ma con forte verosimiglianza induce a ritenere lo stesso Rossi, tirando in ballo lo smaltimento dello "smarino" - cioè il materiale di scavo - dell'opera stradale. Non bisogna dimenticare, infatti, che la Gronda deve (dovrebbe) realizzarla Autostrade per l'Italia, che in comune con Adr ha il principale azionista.

Anche qui, però, le cose non sono chiarissime. Sempre il parlamentare leader di Liguria civica - che a Palazzo Madama siede nel Gruppo Misto - tira fuori un'interrogazione al ministero delle Infrastrutture e Trasporti nella quale chiede lumi sul fatto che Autostrade per costruire la Gronda pretenda di ottenere un prolungamento di sette anni della sua concessione. Una situazione che in Commissione Trasporti è stata svelata dal senatore Stefano Esposito, del Pd. Non propriamente uno qualsiasi, visto che era stato inviato come assessore al Comune di Roma per tentare di rimettere insieme i cocci dell'amministrazione capitolina poi travolta dallo scandalo Mafia Capitale e dagli scivoloni dell'ex sindaco Ignazio Marino.

Tutta la vicenda qualche perplessità la suscita, considerando che la Gronda sembrava godere del finanziamento derivante dagli aumenti dei pedaggi attribuiti ad Autostrade su tutto il territorio nazionale. Almeno fino a quando l'ex ministro Maurizio Lupi, dimessosi per via di rapporti inopportuni con il mondo Anas e dintorni, se ne uscì affermando che una quota di stanziamento avrebbe dovuto mettercela la Regione Liguria.

Persino i maggiorenti regionali del momento, il governatore Claudio Burlando e la delfina Raffaella Paita, che pure trattava il sostegno elettorale di Ncd alle imminenti elezioni, andarono su tutte le furie, dicendo che i soldi dovevano essere disponibili. Già all'epoca si intravvide una manovra di Lupi tesa a prolungare la concessione di
Autostrade, ma le sue successive dimissioni lasciarono la cosa a mezzaria.

Ora ci risiamo. Ma la domanda è: che fine hanno fatto quei denari, se Autostrade per fare la Gronda ne chiede sostanzialmente dell'altro, da ottenere non con un rincaro dei pedaggi, bensì passando attraverso più anni di concessione? In attesa di una risposta, giova ricordare che la concessione di Autostrade scade nel 2038 e quindi con la proroga si arriverebbe al 2045. Quando si dice bruciare i tempi...