cronaca

E sugli imprenditori genovesi: "C'è bisogno di positività"
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Parmalat non ha mai giocato al ribasso con gli allevatori delle valli genovesi. Parola di Luigi Del Monaco, che dell'azienda di Collecchio è direttore generale. In una lunga intervista al direttore di Primocanale Giuseppe Sciortino, Del Monaco ricostruisce la querelle con gli allevatori genovesi, spiegando di aver proposto alla cooperativa di riferimento di lavorare insieme per valorizzare maggiormente il lavoro di chi produce latte alle spalle del capoluogo ligure.

Del Monaco dice di non aver mai ricevuto risposte, ma lascia una porta aperta per il futuro: "se c'è questa volontà siamo disponibili a riprendere il latte purché si trovi una soluzione. Se necessario daremo anche supporto tecnico".

Perché Parmalat ha deciso di investire sul Latte Oro?
"È stata una decisione storica. Il marchio 'Oro' fa parte del dna dei genovesi, ho ancora in ufficio una pubblicità di dieci anni fa con gli sportivi genovesi che bevono Latte Oro. È un marchio storico del gruppo, su cui investiamo tuttora".

Qual è la visione di Genova che lei ha dalla base di Parmalat a Collecchio, in una delle province che producono molto in termini di Pil?
"Noi facciamo un mestiere, quello del latte. Genova la vediamo da quel punto di vista. La Liguria morfologicamente ha una difficoltà di accesso a questa produzione. È una regione fatta di mare, monti e vallate. La gestione del latte richiede pianure, grandi spazi e molta acqua. Genova non è adatta a questa produzione".

Un imprenditore investirebbe facilmente venendo da fuori?
"Non lo so, ma c'è bisogno di positività negli imprenditori genovesi. E io voglio metterci la faccia per dimostrare che le aziende sono fatte di persone".

Qual è il rapporto coi genovesi? Negli ultimi tempi è sembrato piuttosto teso...
"Non è cambiato nulla: abbiamo cento persone impegnate nella logistica e nella distribuzione del latte in città. Purtroppo sono successe le vicende che conosciamo. In maniera strumentale sono state messe in giro voci infondate".

Ci dica lei la cronistoria di questa unione finita male. Perché si è arrivati a quel punto?

"Storicamente la produzione della Valpolcevera è fatta da tanti piccoli allevamenti, circa sessanta, che producono 60 quintali di latte al giorno, corrispondenti a 35/40 euro al giorno di fatturato per ogni allevamento. Se lei parla con un esperto capisce che la gestione di questo latte è molto difficile. È un ottimo prodotto, sono allevatori che tengono bene le mucche. Ma nel momento in cui viene trasportato ed elaborato, diventa difficile da gestire. Sono diversi anni che stiamo parlando con la cooperativa per trovare una soluzione e non si è ancora trovata. Per questo motivo non è stato rinnovato il contratto, che scadeva a marzo. Tra l'altro non abbiamo mai usato questa situazione per strappare condizioni migliori. Le fatture dimostrano che noi pagavamo lo stesso prezzo che paghiamo in Lombardia. Che poi non soddisfi gli allevatori è un altro discorso".

Valeva la pena perdere la simpatia di un'intera città per poche decine di migliaia di euro?
"Non facciamo questi calcoli, i nostri uffici sono fuori da queste dinamiche. Ciò che volevamo era spingere la cooperativa a usare un impiego più adatto al tipo di produzione".

Un calcolo sulla qualità?
"No, un calcolo sulla gestione. Non mettiamo in discussione la qualità, ma per i nostri standard quel latte non andava bene. Non abbiamo mai offerto un prezzo più basso. Quando abbiamo capito che non trovavano una soluzione ci siamo offerti per un periodo ponte. Non abbiamo avuto risposta subito e la situazione è precipitata".

Quando parliamo di cifre, a quali numeri ci riferiamo? A quanto compravate e quanto avete offerto per il rinnovo?
"Noi avevamo un contratto in scadenza a marzo con tutti gli allevatori del Nord Italia con prezzo legato all'andamento di mercato. Si andava da 0,36 fino a 0,335. Avremmo pagato la stessa cifra".

Quindi la cifra di 20 cent al litro tirata fuori dagli allevatori non corrisponde al vero?

"Noi non abbiamo mai fatto proposte al ribasso. Siamo tranquilli da questo punto di vista. Capisco che gli animi siano surriscaldati, ma non era nostra volontà arrivare allo scontro e soprattutto non volevamo andare al ribasso. Non vedo perché avremmo dovuto pagare meno di quello che pagavamo in Pianura Padana".

La vostra proprietà è francese. Che differenza fa per il latte italiano?
"Parmalat è un'azienda italiana, paga tutte le tasse in Italia, con dipendenti italiani. Raccogliamo in Italia 550 milioni di litri di latte all'anno, non abbiamo delocalizzato nulla. È cambiato solo il focus sulla parte industriale e gli investimenti: 60 milioni di euro negli ultimi anni, decine di milioni di investimento pubblicitario. Non vogliamo lasciare l'Italia".

E puntate ancora sulla Liguria?
"Noi abbiamo fatto cose che hanno surriscaldato gli animi, ma non abbiamo mai smesso di investire. In Centrale avevamo 110 persone, oggi ne abbiamo 100 impegnate sulla logistica. Siamo sempre stati vicini alla città".

'Parmalat è una pericolosa multinazionale che porta il latte dalla Cina': mi dica cosa c'è di vero in questa affermazione.
"Se qualcuno ci riesce dovrebbe spiegare come fa. La Cina è un importatore di latte e non un esportatore. Poi basta prendere una bottiglia, sull'etichetta ci sono scritte due cose: la provenienza e il luogo di lavorazione. Se una di queste due è sbagliata arrivano i Nas. Il latte fresco deve essere lavorato entro 24 ore e distribuito il giorno seguente, dopodiché ha 6 giorni di vita. Se lei trova 100% italiano può stare sicuro che è così. In Italia non si scherza. Abbiamo tutti i controlli delle Asl, dei veterinari e dei Nas".

C'è un luogo comune che secondo lei oggi subisce Parmalat? Mi riferisco ad esempio al passato finanziario, ha dovuto ricominciare da zero. Probabilmente paga anche questo?
"Rispetto al passato oggi in Parmalat non c'è più nessuno. I manager sono tutti diversi. Dal punto di vista imprenditoriale e tecnologico è un'azienda messa benissimo. Le vicende giudiziarie non le commento. L'acquisizione è avvenuta cinque anni fa a vicenda conclusa e ha aperto un corso nuovo".

Ai lavoratori che si trovano tra incudine e martello cosa avete detto?
"Da una settimana vengo qui quasi tutti i giorni. Vedo gente in lacrime dirmi che il vicino non li saluta nemmeno. È una situazione spiacevole, molta gente si è arrabbiata e ha fatto circolare queste voci. I lavoratori sono molto attaccati all'azienda, li trattiamo molto bene".

C'è un errore che l'azienda ha fatto dal vostro punto di vista? Qualcosa che non rifareste?
"Le aziende fanno tanti errori in momenti concitati, non ci si può guardare indietro. Ciò che potevamo fare era spiegarci meglio prima e invocare l'aiuto della comunità locale. Ancora prima della pubblicità negativa, ci eravamo offerti di comprare il latte della cooperativa in cambio di un progetto per valorizzarlo. È un'offerta ancora valida. In tante comunità montane in Italia il latte locale viene trasformato in prodotti caseari. La cooperativa lo sa, se c'è questa volontà siamo diponibili a riprendere il latte purché si trovi una soluzione. Se necessario daremo anche supporto tecnico".

Qual è il futuro dei lavoratori?
"Faremo di tutto per ristabilire la verità, che è quella che ho detto. Spiegheremo che il nostro è latte italiano e abbiamo fatto queste scelte per preservare la qualità. Faremo tutto ciò che è in nostro potere per ristabilire i fatturati".

Ma il futuro è a rischio?
"Faremo in modo che non lo sia. Ho incontrato i lavoratori, sono rimasto colpito dall'atteggiamento che hanno, dall'orgoglio che ci hanno messo".