
Lo stile compositivo di Donizetti si elevava davanti a vicende di amori irrealizzati in ambienti di corte (in questo caso quello di Elisabetta I e della Contessa Sara di Nottingham per Roberto Devereux, conte di Essex) e a figure femminili dello spessore drammaturgico delle regine di Tudor: lo testimonia il ruolo di Elisabetta, considerato uno dei più significativi ritratti di donna del melodramma romantico prima di quelli verdiani. E uno dei vertici assoluti del “bel canto”: il finale del primo Atto e quello del terzo (e ultimo) sono tra i più difficili ed estremi del repertorio belcantistico.
Il libretto, efficace e conciso, è di Salvatore Cammarano, che si basò su un libretto precedente scritto da Felice Romani per Saverio Mercadante (ricavato a sua volta dalla tragedia di Jacques-François Ancelot Élisabeth d’Angleterre).
L’Opera intensa e potente sia musicalmente che teatralmente, va in scena quest’anno in un nuovo allestimento del Teatro Carlo Felice in coproduzione con la Fondazione Teatro Regio di Parma e Fondazione Teatro La Fenice di Venezia.
IL COMMENTO
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