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Burlando, Paita e le manovre per la segreteria ligure
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Claudio Burlando, Raffaella Paita, Antonino Miceli: per una larga fetta del partito, compresa una parte della corrente renziana, sono i principali responsabili del disastro Pd alle scorse elezioni regionali. Ma in questo strano Paese, la regola che chi perde va a casa sembra valere solo per gli allenatori di calcio. Di sicuro non per i politici. Difatti, che cosa sta accadendo in Liguria? Burlando, Paita e Miceli stanno cercando di impadronirsi del Pd, per gestire direttamente e da una posizione di potere prima le comunali a Savona, la primavera prossima, e poi - nel 2017 - quelle di Genova.

Il rinnovato e improvviso attivismo dell'ex governatore, dopo la batosta elettorale, si spiega con l'imminente cambio delle regole interne. Entro fine mese, l'assemblea nazionale del Pd dovrebbe licenziare la modifica statutaria in base alla quale i segretari regionali torneranno ad essere eletti direttamente dagli iscritti. Bandite, dunque, le primarie aperte, che nella precedente tornata avevano spianato la strada a Giovanni Lunardon sebbene il suo competitore, Alessio Cavarra, avesse preso un maggior numero di voti. Ma che erano voti provenienti anche da chi con i democratici non c'entrava proprio niente.

Il rischio è rispolverare la pratica dei "signori delle tessere", sublimata nella vecchia Dc, quando fra i votanti congressuali c'erano iscritti che non sapevano di esserlo e addirittura persone già passate a miglior vita. Ma meglio questo pericolo, che può essere gestito con controlli rigidi, piuttosto che inquinamenti di altro genere. Logica comprensibile e stringente.

Proprio in questa prospettiva, Burlando e Paita hanno ricominciato a battere la Liguria, cercando di fare proseliti per issare Miceli alla segreteria regionale. Hanno anche tentato di mettere su un incontro di corrente, benedetto dalla presenza del vicesegretario nazionale Lorenzo Guerini. Il disegno è saltato, perché si sono comprensibilmente infuriati quei tanti renziani liguri esclusi dagli inviti per non essersi allineati al preteso strapotere dell'ex governatore e della Delfina.

La cosa non è piaciuta neanche allo stesso commissario David Ermini, che si è ritrovato fra le mani l'ennesima spaccatura proprio mentre sta disperatamente cercando di ricucire gli strappi che ancora dilaniano il Pd ligure per l'ansia di potere personale di alcuni suoi esponenti. Se il blitz di Burlando è fallito, almeno in termini di investitura romana, la sfida sulla segreteria regionale è però tutta da giocare. Sebbene, come rivela un autorevole dirigente del partito, "oggi fare iscritti è complicatissimo, perché anche storici attivisti sono delusi e ci sono pochi margini per convincerli a prendere la tessera e impegnarsi nel partito". Resta la possibilità di fare promesse e offrire la garanzia di futuri incarichi, ma anche qui interviene una saggia osservazione: "Garanzie? Di questi tempi non hanno per se stessi, figurarsi per gli altri!".

Il discorso non fa una piega, ma la politica, si sa, è malandrina. Mai dire mai. E comunque la posta è talmente alta che il gioco vale la candela. Il primo appuntamento sono le comunali di Savona, che già valgono parecchio, ma il bersaglio grosso è Palazzo Tursi. È guardando al Comune di Genova soprattutto che Burlando ha ripreso a tessere la sua tela e ha bisogno di un "signor sì" come Miceli al vertice del Pd ligure. Potendo inoltre godere sul sostegno incondizionato di Oscar Farinetti, imprenditore legatissimo a Matteo Renzi e che appartiene alla ristretta cerchia dei "consigliori" più ascoltati dal premier.

A distanza di due anni dal voto, le grandi manovre intorno alla successione di Doria sono già iniziate. E circolano persino dei nomi. Uno è quello di Simone Regazzoni, portavoce di Paita, che si sta particolarmente dando da fare. Più che per il soglio di Tursi, tuttavia, il suo sembra il profilo giusto come indicazione tattica, da spendersi in questa fase per intorbidire le acque. Il "disturbo" sarà magari ripagato successivamente, con qualche incarico, ma intanto Regazzoni può tornare utile per tenere coperta la carta buona. Che potrebbe avere i connotati di Paolo Momigliano, presidente della Fondazione Carige.

Di lui si era già parlato come possibile sostituto di Paita se l'allora candidata avesse fatto un passo indietro dopo aver ricevuto l'avviso di garanzia per la mancata allerta dell'alluvione dell'ottobre 2014. In più sono noti i suoi storici ottimi rapporti con l'ex governatore. Qualcuno potrà obiettare che Momigliano in realtà sarebbe da iscrivere fra i "doriani" visto che formalmente fu il sindaco di Genova e designarlo per la Fondazione. Chi è addentro alle segrete cose, però, sa che il vero "king maker" fu Il segretario generale della Camera di Commercio Maurizio Caviglia, un pragmatico che propone soluzioni per come servono, a prescindere dalla loro colorazione politica.

Questo non significa, ovviamente, che le relazioni fra Momigliano e Doria non siano buone. A dimostrarlo è lì il fatto che per la presidenza della Fiera il primo cittadino abbia optato per il socio di studio di Momigliano, Ariel Dello Strologo, favorito anche dall'essere già il numero uno della Porto Antico. Prematuro o no che sia, quello dell'ex presidente dell'Amiu è certamente un nome spendibile da Burlando e sodali. Però, non mancano altre ambizioni.

Una molto autorevole è quella di Pippo Rossetti, vicepresidente della Regione ed ex assessore ligure al Bilancio, legatosi alla corrente paitiana quando ha gli sono stati preclsui tutti gli spazi sul versante opposto. Ma è anche uno, Rossetti, che da sempre agisce rivendicando l'autonomia che gli viene dal forte seguito personale dentro e fuori il partito. Poi, non bisogna dimenticare personaggi quale l'attuale presidente del consiglio comunale, Giorgio Guerello, frustrato dalla non candidatura alle regionali e che un pensierino a Tursi lo fa. Magari non avrà la forza di imporsi, ma nella partita potrebbe non avere un ruolo marginale.

Su tutto, però, incombe la vera incognita: Doria si sfilerà o deciderà di ricandidarsi? Se tentasse il raddoppio, il Pd potrebbe anche decidere di non andare a Primarie. Ma è improbabile, perché i dem genovesi almeno su una valutazione convergono all'unisono: il sindaco non assicura il successo. Con questa veriabile devono fare i conti tutti, ma l'approccio è diverso.

Una componente del partito ritiene che il tempo restante vada speso con un sostegnpo leale a Doria, facendo le cose necessarie per riconquistare la fiducia dei genovesi. Un'altra, quella incarnata da Burlando e Paita, ritiene invece che bisogna distanziarsi quanto più possibile dal sindaco se si vuole risalire la china dei consensi. Né l'una né l'altra opzione, però, offre delle certezze. Salvo una: in ogni caso, le macerie cadranno sul Pd.