porti e logistica

L'Egitto spende 13 miliardi di dollari per il raddoppio strategico
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Più navi, più velocemente, con più ricadute sull’economia del Paese: queste, in sintesi, le motivazioni che hanno spinto l’Egitto a investire 13 miliardi di dollari nel raddoppio del Canale di Suez. Eppure l’opera, per quanto colossale e costruita in tempi da record, non sarà rivoluzionaria, almeno nell’immediato. I tempi di percorrenza passeranno da una media di 18 a circa 12 ore, che su un viaggio di settimane non sembrano fare un’enorme differenza. “Per le merci anche poche ore non sono poco. Però è vero che impatti immediati per gli scali italiani non ce ne saranno”, dice Piero Lazzeri, presidente di Fedespedi. Anche perché già prima le navi più grandi in circolazione potevano transitare dal Canale.

“La cosa che potrebbe cambiare le carte in tavola è la seconda fase del progetto, con il doppio senso di marcia in entrambi i canali: a quel punto il tempo di percorrenza sarebbe quasi azzerato”, spiega Enzo Redivo, esperto di shipping. “Però è anche vero che le navi sono sempre più grandi e quindi sono sempre di meno. L’affollamento di un tempo per attraversare il Canale non c’è più, quindi verrebbe anche meno il senso di questo ulteriore intervento”.

Un’opera inutile, quindi? Non per Redivo, che spiega cosa si cela dietro al raddoppio. “Con la crisi del turismo il Canale è diventato la prima fonte di entrate per lo stato egiziano, che aveva il timore che i lavori su quello di Panama potessero sottrargli i traffici dall’Asia alla costa est degli Stati Uniti. Questo però non accadrà per le navi più grandi, che dovranno ancora passare da Suez. Ora l’Egitto intende introdurre attività di lavorazione industriale e zone di libero scambio nelle aree vicine al canale. Un progetto importante che potrebbe incidere significativamente sull’economia del paese”.

“La verità è che l’Egitto ha guardato al futuro, cosa alla quale noi non siamo abituati”, commenta Piero Lazzeri, che ricorda come il sistema portuale e logistico italiano debba fare i conti ogni giorni con limiti infrastrutturali e burocratici che penalizzano il sistema. D’altronde lo stesso Piano della portualità e della logistica evidenzia questo aspetto: per un container in viaggio dall'Asia sono necessari almeno 17 giorni di navigazione, e una volta in Italia servono fino a 13 giorni solo per uscire dal porto.

Tutta colpa della quantità di procedimenti amministrativi, lentezza sui controlli, scarso coordinamento fra amministrazioni e inaffidabilità delle procedure”, prosegue il documento. E non è finita, perché naturalmente serve ancora “un giorno per raggiungere la destinazione finale in Italia, ancora di più se si viaggia verso altre destinazioni”.

E allora viene da chiedersi: perché l’Egitto spende 13 miliardi per tagliare i tempi di viaggio di 6 ore mentre l’Italia potrebbe tagliarli di giorni o settimane a costo quasi zero, semplicemente semplificando le procedure e riducendo la burocrazia? Eppure significherebbe rendere i porti italiani più competitivi anche nei confronti del Nord Europa, per aggredire quel “mercato contendibile” che Spediporto stima essere di circa 10 milioni di teu all’anno.

Certo, a condizione che le grandi navi del (prossimo) futuro possano entrare nei porti e non siano limitate dal pescaggio ridotto. “Su questo aspetto il governo deve essere chiaro e decidere dove concentrare gli investimenti, non si possono buttare soldi in scali minori e non garantire risorse a porti come Genova e Savona che insieme fanno 3,5 milioni di teu all’anno”, commenta Tirreno Bianchi, console della Compagnia Pietro Chiesa.

Procedure più semplici, miglior accesso delle merci agli scali, dragaggi: potrebbero essere il nostro Canale di Suez. Ce la faremo?