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di Luigi Leone

“Riarmo sì, riarmo no, questa è la terra dei cachi”. Potremmo parafrasare così un’ormai vecchia canzone festivaliera di Elio e le Storie Tese, ironizzando su un argomento che sta sempre più dividendo la politica italiana. Il 5 per cento del Pil destinato alle armi entro il 2035 anche dall’Italia servirà in particolare alla Nato, in modo che l’Alleanza Atlantica non dipenda più quasi esclusivamente dagli Stati Uniti. I quali, dopo aver fatto il diavolo a quattro con il presidente Donald Trump per riequilibrare le spese, si aspettano che l’Europa faccia proprio Oltreoceano lo shopping degli armamenti.

Ecco, su questo punto occorre qualche riflessione in più. Perché gli Usa hanno sicuramente un complesso industriale capace di soddisfare molte esigenze, ma non è che da queste parti stiamo messi peggio. Su tutte potrei citare le francesi ThalesDassault Aviation Naval Group, oppure le tedesche Rheinmetall e Heckhler & Koch oppure, ancora, la britannica Bae Systems.

Poi c’è l’Italia, con la sua Leonardo, l’ex Finmeccanica. E non è mica tanto poi. E occhio che dentro ci sta pure Genova. Voglio dire che il riarmo (del quale, piaccia o no, ci sarà bisogno perché il solo equilibrio che finora ha mostrato di tenere è quello del terrore) può diventare una corposa occasione di affari, posti di lavoro e quindi crescita del Pil anche alle nostre latitudini.

Leonardo sa fare praticamente tutto: mezzi per la terra, il mare e l’aria (in particolare gli elicotteri) e sa cimentarsi a livello mondiale con la cyber security. Che vuol dire sicurezza delle comunicazioni prima di tutto: non serve uno scienziato per sapere quanto ciò sia importante di questi tempi. Inoltre, e l’aspetto non è secondario in particolare dal punto di vista politico, ciò che verrà usato in campo militare potrà servire anche nel civile. La ricerca e la produzione nei due campi, anzi, potranno sovrapporsi. Com’è già spesso avvenuto, del resto.

Senza entrare nel dettaglio, si tratta di un tema che rimane un po’ sotto traccia, forse per non dispiacere troppo a Trump, e tuttavia credo che la nostra cancelleria debba tenerne conto. Ad essere sincero, mi pare proprio che la premier Giorgia Meloni già lo stia facendo, in nome di una realpolitik alla quale anche il leader di Azione, Carlo Calenda, non sembra far fatica ad aderire, sebbene stia all’opposizione.

Ancora mancano, invece, prese di posizione più solari e lineari da parte delle altre opposizioni, che al momento sembrano solo pervase da una furia anti-riarmo dettata esclusivamente da motivazioni di politica interna. Interna al Paese e alla stessa coalizione di minoranza, ostaggio di un Movimento Cinque Stelle che cerca spazio negli ambienti “pacifisti” (uso le virgolette perché pacifisti lo siamo pure noi che riconosciamo le ragioni del riarmo) e di un Pd che non vuole lasciare quello spazio all’alleato competitore.

Per questa ragione sono curioso di vedere come si atteggerà la nuova amministrazione di Genova guidata da Silvia Salis. Se capitasse l’occasione di produrre o di vendere armi coinvolgendo direttamente delle aziende genovesi o liguri, quindi con un interesse concreto, a Tursi ne sarebbero tutti contenti? O dovrebbero inventarsi qualche strana alchimia politica per far quadrare l’alleanza di centrosinistra?

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