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Puntuali come la parietaria che spunta a maggio lungo le “creuse de ma” gli Industriali Genovesi, sì Confindustria Genova (ah, ma allora esiste?), ha detto un secco “no” alle idee che Renzo Piano, con la consueta eleganza e il solito garbo, ha illustrato ai genovesi in merito a un collegamento (l’architetto ha avuto anche la prudenza di non parlare assolutamente di passeggiata ) tra il nuovo Waterfront di Levante e il Porto Antico. Anzi. E’ stato persino pignolo più del solito, affermando e ripetendo: “Guai a togliere le Riparazioni Navali da dove sono! Sarebbe quasi un tradimento”.

E spiegando che Genova è una città “operosa” che vuol dire amante del lavoro, ha aggiunto che il bello del fronte mare genovese è proprio questo, un miscuglio di pietra, storia e arte, monumenti, navi, fabbriche che sono il segno della città. Il marchio, l’elemento distintivo e qualificante. Sono la genovesità. Perché Genova – ha spiegato l’architetto – non è una città balneare!

Macché. L’allegra brigata industriale con uno stile e un linguaggio vetusto, va all’attacco. Ma no….Sì. Attaccano l’ idea della “passeggiata” dietro i moli, dietro i cantieri, dietro lo Yacht club, dietro le navi, davanti al mare che invece unirà corso Italia e il magnifico parco della Foce con il Porto Antico. Dove le grandi navi arrivano e ormeggiano diventando un elemento forte del paesaggio.

Dicono “no” sulle note del più vecchio refrain genovese. Facciamo questo? No! Cambiamo…No! Aggiustiamo….No! Proponiamo? No! Rischiamo? No! Ecco. La reazione più o meno soffusa è camuffata dietro la sicurezza di chi andrebbe a passeggiare sotto corso Aurelio Saffi. Pericoloso. Molto pericoloso. Una passeggiata a rischio.

Stento a credere che lo studio internazionale dell’architetto Piano che ha fatto mezza Parigi, mezza Londra, mezza Berlino, mezza New York e posso andare avanti, ma mi fermo per non confondere gli industriali locali, non ci abbia pensato alla sicurezza di chi percorrerà questo “camminamento”. Che sarà strasicuro, panoramico, garbato, che chiederà il permesso a tutti come ogni progetto di Piano persino il ponte di San Giorgio (lo avranno visto  i Confindustri) che scavalca una vallata piena di case e abitanti.

Piano troverà una soluzione insieme al sindaco Bucci che invece vuole che sia proprio una passeggiata a fianco alla gloriosa imprenditorialità genovese, quella di chi aggiusta le navi, le allunga le accorcia, le taglia, che è vanto della città, come l’architetto ha più volte sottolineato. Da far vedere a chi cammina. Come la Lanterna e le navi. Come gli yacht e le gru. Come i bacini e i moli.

Mi ha colpito questa reazione così improvvisa dopo anni di silenzio industriale, mentre in città si discuteva di tutto o quasi, nel pieno di una pandemia lacerante. Mi ha colpito il “ritorno al No” tout court, senza confronto, almeno che io sappia. Il lungo mare non è proprietà privata degli uni o degli altri. E’ un bene pubblico che va tutelato, utilizzato al meglio sempre nell’ottica del miglioramento. La risistemazione della striscia tra Porto Antico e lungomare di corso Italia fino a Boccadasse è un dovere dell’amministrazione comunale scelta e votata dai genovesi.

Renzo Piano è attento a rispettare i diritti di tutti, di chi abita in questo luogo e di chi ci lavora e porta lavoro e operosità alla città.

Leggendo ieri mattina il dispaccio confindustriale ho pensato con una colossale nostalgia a Duccio Garrone. Alle idee e ai progetti che sfornava mese dopo mese, pieni di coraggio e anche di provocazioni per svegliare la “città dei No” e richiamare i politici al loro compito, ma anche alcuni colleghi imprenditori secondo lui troppo addormentati. Ai rifiuti alcuni sicuramente dolosi (letti dopo trent’anni) che aveva ricevuto alle sue proposte di risistemazione del Ponente. No e no e no!

Poi, un giorno incontrò l’assessore alla Cultura, il professor Silvio Ferrari, antico comunista a un ricevimento di ambasciatori colombiani a palazzo Doria Pamphili . “Dissi a Ferrari che stavo per sponsorizzare un’accademia di danza in una magnifica villa vicino a Brescia perché in Italia non esiste più una scuola seria - mi raccontò in un’intervista.

“Ma come? Sbottò l’assessore. Lei va fuori a distribuire finanziamenti e qui a Genova abbiamo seri problemi per far partire il Carlo Felice… Non ne sapevo nulla – continuò Garrone – il dialogò andò avanti… finché nacque l’idea di intervenire a favore del teatro”.

Fu così che Duccio Garrone, presidente di Confindustria Genova, regalò undici miliardi e 400 milioni, cioè l’esatto deficit dell’ente lirico al 30 dicembre ’90, ripianò il bilancio e salvò il teatro appena ricostruito, dalla bancarotta.

Non disse No. Come lo rimpiango…..