economia

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"Bene se Cassa centrale banca comprerà, ma qualora non lo facesse, nessun timore: in realtà si aprirebbe una opportunità". Sono parole pronunciate da Giulio Gallazzi, ex consigliere di amministrazione di Carige, indipendente nominato in quota Assogestioni nel 2016, in una intervista rilasciata all'ottima Gilda Ferrari del Secolo XIX all'indomani del "sì" dell'assemblea al piano di salvataggio della banca ligure.

Quel che afferma Gallazzi apre subito uno spazio a due interrogativi sul futuro di Carige, che in tutta evidenza non si è definitivamente schiarito con l'esito delle assise e la rinuncia della Malacalza Investimenti a bucare l'ennesimo salvagente, anche se questo costerà alla famiglia imprenditoriale genovese svariate centinaia di milioni.

Primo interrogativo: se uno come Gallazzi contempla l'eventualità che Cassa centrale banca (Ccb) non chiuda l'operazione, comprando con uno sconto del 50% la quota del Fondo interbancario per la tutela dei depositi (Fitd) al termine dei due anni di tempo previsti dal piano, significa che il disimpegno è possibile, addirittura verosimile. L'istituto di Trento, cioè, si sarebbe prestato a fare da Cavaliere Bianco per consentire il varo del salvataggio, ma poi potrebbe tirarsi indietro.

Del resto, non sono state poche le polemiche che hanno accompagnato Ccb nel suo percorso, iniziato, non dimentichiamolo, dopo la riforma delle Casse Rurali voluta dal governo guidato da Matteo Renzi e che l'esecutivo Lega-Cinque Stelle si accingeva a modificare. Ora su Palazzo Chigi sventola la bandiera giallorossa, ma i Cinque Stelle sono sempre lì e il Pd nel frattempo ha visto proprio Renzi uscire dal partito. La questione politica, dunque, resta aperta e nei prossimi mesi potrebbe condizionare non poco le decisioni di Cassa centrale banca.

Ora, siccome sono scenari noti a tutti, anche se c'è molta riottosità a parlarne (in qualche caso bisognerebbe persino parlare di omertà), quanto Gallazzi dice al Decimonono si presta a un secondo interrogativo. Questo: non è che negli ambienti finanziari italiani almeno alcuni sanno già che Cassa centrale banca potrebbe aver lavorato "conto terzi"? E cioè: approvato il piano di salvataggio, fatta la ricapitalizzazione (700 milioni), emesso il bond (200 milioni) e ricostituiti gli organi societari, potrebbe spuntare all'orizzonte di Carige un nuovo socio forte, ancor prima che Ccb eserciti la sua opzione ad acquistare. Ma potrebbe pure accadere che Cassa centrale banca chiuda l'operazione nei termini temporali previsti e subito dopo venda la sua quota di Carige, a quel punto maggioritaria, facendosi sopra pure una discreta plusvalenza.

Di sicuro, in queste eventualità, chi rimarrebbe profondamente scornata sarebbe la Malacalza Investimenti, finita fortemente diluita nella sua presenza in Carige. Probabilmente è anche mettendo nel conto simili possibilità che la società veicolo dei Malacalza ha deciso di non partecipare all'assemblea: ha generosamente consentito il varo del piano di salvataggio, ma si è tenuta le mani libere per eventuali azioni legali risarcitorie. A questo punto, però, solo il tempo ci dirà come andranno veramente le cose. Di sicuro, l'affollatissima assemblea di venerdì scorso non ha affatto scritto la parola fine sul "caso Carige".