cronaca

Il ricordo
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Se ne è andato in silenzio come se fosse partito con la sua barca a vela dal porticciolo di Camogli, che era proprio sotto la sua casa, a picco sul mare, davanti al Promontorio di Portofino. A 93 anni Piero Ottone ha concluso la sua lunga vita di giornalista e di “spettatore” dei fatti, come si è sempre descritto, definendo così anche la sua idea della professione. 
 
E' stato uno dei giornalisti più importanti del Dopoguerra in Italia, anche se con la sua ironia molto inglese sosteneva che “dopo” sarebbe stato ricordato solo per avere messo in prima pagina su “Il Corriere della Sera”, da lui diretto, gli articoli di Pierpaolo Pasolini e per avere licenziato Indro Montanelli. É stato certamente il più grande giornalista genovese.
 
Piero Ottone in realtà si chiamava Pietro Mignanego, ma nessuno lo può ricordare per questo nome così genovese, che lui stesso all'inizio della professione aveva cambiato, quando da Genova, la sua patria in tutti i sensi, dello stile, dell'understatment, dell'aplomb, era approdato alla “Gazzetta del Popolo” di Torino. 
 
Sarà ricordato non certo per quegli aneddoti da lui citati sulla direzione al “Corriere”, ma per avere cambiato lo stile dei giornali nelle sue uniche e prestigiose direzioni de “Il Secolo XIX” di Genova, dal 1968 al 1972 e, appunto, de “Il Corriere della Sera” dal 1972 al 1977, anno nel quale lasciò mentre nel grande quotidiano stava entrando la P2. 
Nei due giornali che diresse, non accettando poi altri incarichi di vertice, come a sottolineare che più del giornale di Corso Solferino nel giornalismo non ci poteva essere altro, Ottone aveva impresso una svolta profonda. Aveva plasmato i giornali secondo la sua visione, che era quella di imporre un racconto distaccato e frontale dei fatti, senza compromessi.
Al “Secolo XIX” portò la diffusione del giornale, che aveva ereditato dalla direzione da un vecchio liberale, Umberto V.Cavassa, da 60 mila copie fino alle 120 mila dell'inizio anni Settanta, aprendo redazioni in tutta la Liguria e portando  avanti un gruppo di giovani che plasmava con le sue regole di “attacco alle notizie”.

 In Liguria il suo arrivo, un ritorno dopo gli inizi giovanili al “Corriere Ligure”, era stato una vera rivoluzione, che coincideva con quella del Sessantotto, ma non vi si identificava certo politicamente. Il “Secolo” di Ottone è stato una specie di pietra miliare nelle vicende del giornalismo genovese.

La nascita di una nuova generazione di giornalisti, un nuovo modo di scrivere le notizie, un nuovo modo di diffondere il giornale, un altro sistema di relazioni con la città e tutti i suoi ambienti, sopratutto quelli del potere politicom ed economico.  Rapporti anche polemici, duri “perchè il Secolo di Ottone raccontava tutto, senza guardare in faccia nessuno”.
 
Quando nel 1970 Genova fu sconvolta dalla grande alluvione di ottobre “Il Secolo XIX” raccontò quell'evento non solo con una cronaca attentissima, ma mobilitò la popolazione e conquistò primati di vendita, che ne affermarono il primato non solo cittadino per decenni.
 
Nel 1973 Giulia Maria Crespi, l'editrice pura  decise di dare una svolta al “Corriere” paludato, diretto da Giovanni Spadolini e chiamò alla direzione lui, Piero Ottone, che introdusse la stessa rivoluzione, ma su uno scenario molto più ampio, quale era “Il Corrierone” allora.
 
Memorabile la polemica con Indro Montanelli, “il principe” dei giornalisti italiani, grande firma del “Corriere”, che in rottura con la linea di Ottone, fondò il “Giornale” portandosi via alcuni “pezzi dell'argenteria” di Corso Solferino nel nuovo quotidiano, da Enzo Bettiza, a Cesare Zappulli, a Guido Piovene a Gian Galeazzo Biazzi Vergani. 
 
Su quello scontro molto si è anche romanzato, sopratutto perchè “Il Corrierone”, quando Indro fu gambizzato dalle Br a Milano, non scrisse il suo nome sul titolo di apertura.
Montanelli stesso poi, per descrivere lo stile di direttore di Ottone disse, qualche anno dopo, che il suo merito era stato di aver scoperto che “i comunisti non avevano la coda”. 
Era il modo, anche sottilmente polemico, di spiegare le aperture del nuovo direttore a un mondo della sinistra, sdoganato dal giornale della grande borghesia lombarda di allora.
 
Piero non era solo questo. Era un vero maestro di giornalismo, magari un po' gelido e severo nello stile, ma fortemente innovativo. Già lo era stato da inviato speciale e corrispondente, prima a Londra per la “Gazzetta”, poi per il “Corriere della Sera” a Mosca, il primo occidentale a lavorare nell'Urss della più dura guerra fredda.
 
Alcuni suoi reportage in quella Russia chiusa e blindata sono veramente memorabili per la secchezza  e il segno che ci hanno lasciato.
 
Dopo il “Corriere”, Ottone cambiò mestiere, non accettando di dirigere altro, ma restando nel mondo dei giornali nella Mondadori e poi accanto a Carlo Caracciolo nel gruppo Espresso-Repubblica. Nel 1989, quando il Gruppo Espresso rilevò a Genova l'ex quotidiano socialista “Il Lavoro”, Ottone in qualche modo tornò a a casa, assumendo il ruolo di direttore editoriale, una specie di supervisore di quella edizione che poi, sempre sotto il suo occhio vigile, è diventata l'edizione ligure di “Repubblica”. 
 
Posso dire che era veramente una specie di angelo custode di quel giornale che finalmente si salvava e che Piero era presente continuamente nella sua fattura, con consigli, suggerimenti, anche critiche. Ci teneva che il suo stile fosse rispettato, che quel modo di dare le notizie fosse aderente a criteri oggettivi, chiari, quasi lampanti. Teneva uno spazio settimanale con un articolo pubblicato ogni sabato mattina, venti-trenta righe, non di più, ma una specie di faro acceso sulla città.
 
 Ovviamente Ottone aveva continuato a scrivere molti articoli, a tenere rubriche importanti anche su molte altre testate del gruppo, in particolare “Espresso” e “Repubblica”. 
L'ultima “Vizi e Virtù”, sull' ”Espresso”, si è interrotta pochi mesi fa per sua volontà. 
 
Con lo stile consueto aveva annunciato lui stesso che a 93 anni era venuto il momento di smettere.
 
Ha scritto anche tanti libri, molti raccontando dell'altra sua grande passione, la barca a vela, la sua unica fuga dal giornalismo, molti sui grandi personaggi incontrati. 
Uno degli ultimi libri, “Memorie di un vecchio felice” è un elogio della tarda età, che aveva raggiunto così serenamente. 
“La vecchiaia è il compimento del nostro lungo viaggio, è la fine della corsa_ aveva scritto_ ma questo non significa rinuncia, non equivale a un afflosciarsi dello spirito. E' piuttosto una conquista, la conquista finale e definitiva, quel raggiungimento di uno stato d'animo al quale, chi sa, forse tutti aspiriamo...". 
 
Piero Ottone lascia la moglie Annie e due figli, Stefano direttore generale per le relazioni esterne del Gruppo Espresso-Repubblica e Bettina.