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Città e regione al palo per colpa della politica
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Il vero problema del disastro ligure, a cui la giunta regionale che sta avviandosi al commiato, ha contribuito con pesanti responsabilità (disoccupazione da sud Italia, dissesto idrogeologico, rifiuti alla napoletana, isolamento ferroviario, stradale e aeroportuale, sanità al collasso, giovani in fuga continua) ha un solo nome: Genova. Senza un capoluogo che faccia da motore politico, economico e culturale le “chances” che ha un piccolo territorio di risollevarsi sono ridotte a utopici raduni elettorali (GenoVaVeloce di sabato 28 al Galata) che non servono a niente se non a foraggiare qualche pr o a garantire meste passerelle.

La Liguria è al palo anche perché Genova è al palo da almeno cinque anni. La colpa di tutto questo è della politica, ma non soltanto. La politica ha fatto la sua parte (negativa) nello sfascio della città. Il resto della decadenza va equamente suddiviso fra i genovesi, quelli che hanno ruoli di dirigenza nell’economia e nell’industria.

Prendiamo in esame la politica. Il caso di Genova è la dimostrazione che i “sindaci di opinione” non ce la fanno a governare, sopraffatti da problemi enormi, di dissolvimento dello stato sociale e di paralisi delle proposte e delle idee. Ma guai se questi sindaci lasciassero il loro territorio in mano ai Governatori che sono distributori di fondi e fondini, come è capitato ai sindaci dei comuni liguri, costretti a elemosinare soldi regionali e ora obbligati a “restituire attenzione” in campagna elettorale. La perdita di autonomia di un sindaco segna inesorabilmente, la sua disfatta politica e la perdita di credibilità di fronte ai cittadini.

Marco Doria, onesto fino al midollo (un grande merito sia chiaro!), non riesce a proporre niente. La città fa acqua, persino nella tanto vantata strada a mare che, secondo lo stesso sindaco, avrebbe potuto addirittura far scivolare ogni decisione sulla detestata Gronda.

Genova appare quotidianamente come una città “sgovernata”, in mano a un trasporto pubblico affidato alla disponibilità o meno degli autisti dell’Amt, a quella degli operatori ecologici di Amiu, ai commercianti che sollevano tutte le mattine le saracinesche dei loro negozi, stritolati da gabelle insopportabili, ai medici e agli infermieri che aprono pronti soccorsi e sale operatorie e ai quali si chiedono solo tagli e bilanci dimagriti, invece che buona sanità e qualità che non faccia fuggire verso altri siti del Nord Italia.

Lo “sgoverno” di Genova dipende dalla politica, principalmente da chi dovrebbe governare, cioè da chi ha messo in piedi queste raccogliticce maggioranze. Dipende dal Pd che ha voluto essere partito-egemone nel capoluogo e in Liguria e non è riuscito a trovare un sindaco-politico, dalle opposizioni che senza figure di spicco vanno eternamente a rimorchio, dal Movimento 5 Stelle che sceglie come linea politica lo “star sempre fuori dalla porta”.

Senza l’impulso di Genova, la Liguria farà poca strada. Senza un forte cambiamento di rotta a Tursi, anche per la contestata candidata presidente alle Regionali, la strada sarà in salita. Il consenso non si ottiene a Genova con la concessione di soldi, ma con un grande progetto sulla città. Un’idea? Un’utopia? Chiamatelo come volete. Questo progetto non esiste perché né la Regione, da cinque anni preoccupata solo a foraggiare migliaia di rivoli abbandonando al macero i nodi strategici dello sviluppo, né Palazzo Tursi, sono stati in grado di costruirlo. E anche dal silenzio delle controparti imprenditoriali e culturali.

La responsabilità politica è del Pd che ha voluto la bicicletta e non ha saputo pedalare. Se perderà ancora tempo, mettendo la “polvere” di Genova sotto il tappeto, cuocendo Doria a fuoco lento, e abbandonando la Liguria alle tattiche fallimentari degli ultimi cinque anni, rischierà di franare anche nelle sue roccaforti. La sua sconfitta sarebbe un pericolo per il nostro territorio.
Chissà che a quel punto l’algido Matteo Renzi e la sua falange di “bellissimi” finalmente non se ne accorgano.