salute e medicina

Quando questa tragedia della pandemia ti tocca da vicino ti rendi conto di che cosa significhi
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"Sono un bambino sfortunato, perché ho perso un nonno". Il mio nipotino Thomas, di appena sei anni, aveva l'aria affranta quando se n'è uscito con la crudezza della verità di cui solo i bimbi sono capaci. Poi mi ha abbracciato, come a dire: provo a tenermi stretto il nonno che mi rimane. E allora capisci per davvero quanto il maledetto covid meriti ogni battaglia sui vaccini, su qualche straccio di cura e sulla prudenza rigorosa, ora che l'Italia prova a riaprire molte attività. Il mio consuocero, cioè il papà di mia nuora, non ce l'ha fatta. Si chiamava Nicola Moraglia, aveva 72 anni e godeva buona salute. Con lui avevo un rapporto splendido. In pochi giorni se n'è andato: polmonite bilaterale. Non riusciamo a farcene una ragione.

 

Me lo sono preso anche io, il covid, e ne porto lo strascico sotto forma di una stanchezza repentina che mi imprigiona appena provo a fare la minima cosa. Ma di fronte alla tragedia di Nicola ti senti persino in colpa di averlo sconfitto, almeno questa volta, quel virus di cui ancora si sa troppo poco per fronteggiarlo adeguatamente.

 

Quando questa tragedia della pandemia ti tocca da vicino ti rendi conto di che cosa significhi. Chi ci è passato prima, ha tutto il diritto di dirmi: bella scoperta! Vero. Ma noi giornalisti dobbiamo farci una sorta di corazza per poter affrontare ogni argomento, soprattutto quando di mezzo c'è la morte. È l'unico modo per esercitare questo mestiere senza finire travolti dagli eventi. Però c'è sempre un momento in cui neppure quella corazza basta. Per me quel momento è arrivato e non è una bella esperienza.

 

Nondimeno sento il dovere di dire un paio di cose. La prima è che in provincia di Imperia la Asl fa di tutto per funzionare. Avrà i suoi limiti, certo, però il personale che mi è stato dietro si è dimostrato all'altezza. Non conosco nessuno e nessuno mi conosce. Con loro ho avuto solo contatti telefonici, ma sempre improntati a una umanità che mi ha sorpreso. Devono averne viste tante anche loro, infermieri e medici, se trattano le persone con simile tatto. In quei momenti, che sono fatti di sofferenza ma anche di paura, tanta paura, le loro parole sono più che un conforto. Sono una zattera alla quale ti aggrappi, sperando di arrivare prima possibile in acque meno agitate. Non è il primo, purtroppo non sarà l'ultimo, ma: grazie!

 

L'altra cosa che voglio dire è banale e tuttavia importante, determinante direi: fatevi il vaccino, qualunque esso sia. Io, essendo reduce dal contagio, finisco in coda per almeno quattro/sei mesi (sarà il sierologico a dettare i tempi), ma desidero chiarire che se non avessi avuto la disavventura del covid avrei fatto la mia brava prenotazione e sarei andato di corsa a farmi inoculare il siero. 

 

Ai negazionisti e ai no vax mando a dire solo una cosa: Iddio non voglia che uno di voi debba provare sulla propria pelle che cosa significa perdere una persona cara o soffrire a causa dell'infezione. Se, poi, il timore è quello che il vaccino faccia male, abbia cioè degli effetti collaterali, stiamocene con assoluta fiducia a quanto ci dicono scienziati e medici: il margine di pericolo è talmente minimo da non poter essere quasi misurato. Spesso litigano tra di loro, gli esperti del covid, ma su questo punto sono praticamente tutti d'accordo: se accettiamo le divisioni sugli altri argomenti, accettiamo le voci univoche sul resto. 

 

Fatevelo dire da uno che ci è appena passato e nel modo peggiore: il covid è davvero una brutta bestia per fermarsi davanti al rischio molto, molto aleatorio di un vaccino. Non meritiamo le lacrime da virus.