politica

Il commento
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Da quando è finita la vecchia Prima Repubblica e il sindaco si è scelto direttamente con il voto dei cittadini questa manovra a Genova è sempre stata molto difficile. Prima le mediazioni certosine tra i partiti portavano a decidere chi si sarebbe andato a sedere a Tursi con il bilancino degli equilibri di forze nelle maggioranze che erano uscite vincenti dalle elezioni comunali. Fossero le maggioranze democristiane e di centro sinistra dei lunghi anni Cinquanta e Sessanta, fossero quelle quasi “frontiste” degli anni Settanta e quelle pentapartitiche degli anni Ottanta e primi Novanta.

A Genova uscirono sindaci di partiti meno forti elettoralmente, come il compianto Cesare Campart, repubblicano e il socialdemocratico Romano Merlo
L'elezione diretta ha cambiato tutto, ma anche fatto diventare il problema della scelta un vero rebus, che oggi si complica sempre di più, nello sfarinamento dei partiti, nella de ideologizzazione della politica, nella liquidità della società e nella perdita di forze delle cosidette categorie sociali. Pescare i candidati in questo mare magnum e in tempesta dal 1993 della fatidica riforma è così sempre stato un esercizio complicato, risolto da ogni parte politica con una certa difficoltà.

Nel 1993 il centro sinistra aveva lanciato l'ex pretore d'assalto Adriano Sansa, un magistrato di grande notorietà pubblica e nessuna patente politica e l'altro fronte, allora “dominato” dalla Lega bossiama “dura e pura”, aveva schierato contro il carneade Enrico Serra, un medico chirurgo ignoto ai più e che, dopo quel lampo di grande esposizione, tornò nel suo anonimato. Sappiamo come finì, con Sansa licenziato in tronco dal Pci di allora dopo soli quattro anni (la legislatura era più corta proprio per la riforma) perchè troppo “autonomo”.

La tornata successiva a quella, destinata a dare a Genova un sindaco dal 1997 al 2002, ha espresso bene le ondulazioni della politica, di fronte alla scelta diretta. Fu quello lo scontro forse più acceso del nuovo sistema anche per la forza dei numerosi e rispettivi candidati. Il centro sinistra schierò il professore avvocato Giuseppe Pericu, scelto sicuramente nella società civile, un socialista-laburista con la passione politica come corroborante di una professione di successo. I berlusconiani, che avrebbero dovuto essere gasati dopo la conquista del potere del Cavaliere, ondeggiarono parecchio per varie ragioni, fino alla candidatura dell'ex dc Ugo Signorini, poi ritiratosi per ragioni di salute. La “riserva” a scendere in campo fu, quindi, il vulcanologo Claudio Eva, che non arrivò neppure al ballottaggio. In corsa c'era anche Sansa, con una lista civica ad personam, capace di sfiorare, però, il 14%. Ma la grande sorpresa, scaturita dall'ebollizione della società postangentopoli, fu il medico Sergio Castellaneta, leghista pentito e puhjadista scatenato, che sfiorò la vittoria contro Pericu per un pugno di voti.

Dopo i primi cinque anni di governo dell'avvocato-professore, ci fu la tornata meno combattuta della nuova era: vittoria facilissima del sindaco uscente ed anche un po' recalcitrante a ripresentarsi, contro una bandiera schierata dal centro destra, il postsocialista, Rinaldo Magnani, già presidente di Provincia , Regione e Cap. Come dire che i berluscones avevano rinunciato a fare la battaglia. In fondo un sindaco come Pericu non dispiaceva neppure a loro.
Ma finita l'era decennale di quel sindaco, i postcomunisti diventati nel frattempo Pds, poi Ds e pronti a farsi Pd, decisero una inversione a U: si torna al candidato politico puro, al personale di partito. Ed ecco allora scendere in campo la eurodeputata Marta Vincenzi, che lasciò Bruxelles per conquistare Tursi.
Insomma una scelta secca, che, dopo un giudice e un avvocato senza targhe politiche, schierava una candidata con curriculum tutto nelle istituzioni pubbliche.

Dall'altra parte un guizzo originale, come quello di candidare un giovane prof di economia, Enrico Musso, scelto senza calcoli di apparato ma, nel profondo della società civile e per questo un bel po' avversato anche all'interno di Forza Italia da molti “colonnelli”, che non sopportarono la sua novità e probabilmente ne compromisero la possibilità di contrastare fino in fondo Supermarta.

Le ultime tornate, dal 2011 a oggi, sono più recenti e riassumomo bene le difficoltà di trovare candidati in questo andarivieni tra società civile, apparati di partiti, outsiders pescati un po' casualmente nel corpaccione di una città in potente decrescita e trasformazione.

Intanto sono state le Primarie a introdurre almeno a sinistra un criterio di preselezione, rivelatosi un bel tormento almeno a Genova per i suoi fautori Pd. Tormento? Forse meglio dire suicidio, visto come finì tra Marta Vincenzi, Roberta Pinotti e il sorprendente Marco Doria, con la vittoria di questo outsider, rifondatore comunista diventato indipendente, che spazzava via le due zarine Pd, la sindaca uscente e la deputata di grandi prospettive future.

Per non dire dall'altra parte del fronte, dove si consumò la frana ubriacante tra Vinacci e Vinai, che neppure giunsero al ballottaggio, conquistato dal revenant Musso, spinto in finale dalle onde di Oltremare, la Fondazione dove si era ancorato dopo lo strappo da Berlusconi, consumato in Parlamento.

La vittoria di Doria cinque anni fa ha consacrato questo percorso accidentato della scelta del sindaco diretto e confermato quei percorsi tortuosi che abbiamo qui rapidamente riassunto: anda e rianda tra politica di apparato, società civile, emergenti, monumenti della vecchia Repubblica e soluzioni autoctone nell'arcipelago della sinistra-sinistra.

Con questi precedenti già piuttosto tortuosi, oggi è tutto ancora ben più difficile.
I partiti sono particolarmente in dissoluzione a destra, come a sinistra, i riferimenti nella società sono molto più fragili, perchè la rappresantività delle categorie sociali si è molto ridotta, se non azzerata, il populismo cavalca disagi sempre più profondi e estesi e molto reali, la città è depressa e sofferente.

Lo stato della politica, se prima era liquido, oggi appare gassoso, tra presunti federatori a sinistra, commissari con mezza scarpa dentro e mezza scarpa fuori, patti di unità nel centro destra messi in discussione da altri revenant, federatori a loro volta, divisioni anche all'interno dei sostenitori della democrazia diretta e senza più veri calcoli di rappresntanza, come quelle dentro ai Cinque Stelle, che decideranno a colpi di “clic” e di “graticole” su nomi pescati nell'anonimato più assoluto e rivendicato come la miglior patente possibile.

L'avete capito anche se non facessimo i nomi di Toti, il king maker della Destra vincente, di Parisi che piomba qua con il suo Megawatt, di Doria il pretendente federatore a sinistra, di Ermini il commissario in sospeso di congressi da fare se non ora quando, di Terrile, il segretario provinciale a caccia di unità di trattativa e di intenti, dei dinosauri del Pd minoritario e “armato”, un po' bersaniano, un po' renziano, dei ministri potenti, ma silenti, Orlando e Pinotti, di Rixi leghista vittorioso, sempre in sospeso di candidatura ogni volta che si vota, di Alice Salvatore, pentastellata in bilico tra la Regione e il futuro comunale, su cui Grillo genovese non a caso dirà la sua, di... Insomma oggi è molto più difficile di ieri.