cronaca

La ricostruzione del dramma
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Un anno fa, il 9 ottobre 2014, Genova viveva una delle sue alluvioni più incredibili. La parola non è usata a caso, dove "l'incredibile" è la ripetitività dell'evento, la possibile previsione e l'incredibile noncuranza che lo accompagnò con tutto lo strascico di polemiche e di inchieste che si trascinano ancora oggi.

Quel giorno, e le telecamere di Primocanale raccontarono tutto, in diretta, minuto per minuto, era iniziato, in realtà, con la preoccupazione per il Levante: Rapallo, Chiavari, Recco. Un po' di problemi, un po' di paura e poco altro. Ma l'annunciato miglioramento meteo non si vedeva.

Verso le 18.30 la pioggia inizia a cadere abbastanza intensamente sul centro di Genova e su quasi tutta la città. E piove, piove, e alle 20 lo fa in un modo che comincia ad allarmare. Dopo le 21 il tracollo: alle 22 via Adamoli, nel quartiere di Molassana, viene chiusa per problemi legati proprio alla pioggia torrenziale. E' l'inizio della fine. Intanto notizie drammatiche arrivano da Montoggio, quella che sarà l'altra "capitale" di questa notte di paura e disperazione: il rio Carpi fa il matto, tra la sera e la notte il paesino della Valle Scrivia finisce in ginocchio con danni per milioni di euro con attività commerciali che soltanto a prezzo di enormi sacrifici (e con un'altra mazzata subita nel settembre 2015) riusciranno a ripartire.

Alle 22.30 il centro di Genova (non che altrove non piova ma il disastro si concentrerà questa volta e in questa notte in una particolare porzione di città), è spazzato da una specie di uragano. Già corso Aurelio Saffi è una lavatrice, in fondo a Viale Brigate Partigiane, all'altezza dello Starhotel, i tombini saltano come tappi di champagne e il tunnel della ferrovia verso via Canevari è impraticabile. Le macchine fanno inversione e chi vuole tentare, a suo rischio, di andare verso la Valbisagno deve tornare verso corso Torino e poi corso Sardegna. L'inferno è dalla svolta verso corso De Stefanis: l'acqua è ovunque, invasiva e rumorosa. Poi, a un tratto, cambia colore: è il segnale che dall'altra parte, nel letto del gigante solitamente silente ma ruggente quando non dovrebbe, cioè il Bisagno, qualcosa è successo.

Si cercano vie di comunicazione, il buio domina, anche nella zona in fondo a via Torti le auto dribblano i cassonetti spostati dall'acqua come fossero fuscelli. Ma lo spettacolo, inquietante, lo osserva chi si ritrova, un pò per caso e un pò per necessità, in via Tolemaide. In una delle strade tristemente famose per gli scontri durante i giorni del G8 2001 l'acqua, tentacolare, avanza: 1, 2, 5, 10 centimetri per volta mentre le saracinesche delle officine sotto la ferrovia sono inghiottite dal fango. E laggiù, dove si può arrivare solo con lo sguardo, le macchine letteralmente nuotano, come paperelle di bambini in una vasca da bagno. 

Meglio correre altrove, il disastro è ovunque. Il Bisagno è straripato, la melma invade Brignole, viale Brigate Partigiane (dove le signore in tacco 12 che si erano avventurate per la serata nei locali alla moda faticano a restare in piedi), la parte finale di via XX Settembre, piazza Colombo. Ma è inutile, il pensiero di tutti va al quartiere martire delle alluvioni genovesi: Borgo Incrociati. La strada è libera, corso Monte Grappa è vuota ma sulla zona c'è un rumore sinistro. E' quello dei clacson delle auto che la furia del torrente ha trascinato e sbattuto contro l'ingresso del tunnel pedonale che porta alla stazione Brignole. I "ragazzi del 2014", come fecero quelli del 1970, saltano su tetti e cofani per verificare che dentro quegli ammassi di lamiera non ci sia nessuno. E' andata bene, non c'è nessuno. Ma la gioia è effimera. 

A distanza di 300 metri, vicino a un benzinaio, sul marciapiede lato Bisagno, c'è già un telo bianco per terra. Copre pietosamente il corpo di Antonio Campanella, un ex infermiere che era in un bar della zona ed è andato a vedere, sotto il nubifragio, cosa stava accadendo. In quel bar Campanella non riuscirà più a rientrare. Sono le 23.30 circa, forse è mezzanotte, la gente del Borgo, che a fatica ha trovato candele e lampade di fortuna visto il black out è in strada, rabbiosa e impotente. E urla: "Basta alluvioni, basta!". Via Canevari è un mare di fango, il cielo beffardo, ora butta giù solo poche gocce di pioggia e bisogna anche quasi ringraziarlo per la sua "pietà" . Ma ormai, il disastro è compiuto. 

Il sonno, alla fine, vince sui nervi di molti ma quando gli occhi vengono riaperti, siano le 4, le 5, le 8, le 10, quello che vedono è l'incredibile. Proprio così, la parola con la quale avevamo iniziato. Un disastro che fa rabbia, che si porta via una vita umana, che provoca danni economici incalcolabili e che, ancora oggi, trascina con sé l'interrogativo che assilla da generazioni i genovesi: per quanto tempo e quante volte ancora questa città e questa gente rischierà di morire annegata, di perdere tutto, di piangere e battere i pugni dalla rabbia? Quanto?