
Io e Massimo Leopizzi ci conoscevamo da decenni ma siamo sempre stati distanti: divisi dai ruoli, due rette parallele destinate a non incontrarsi. Perché l'ultrà non parla con il giornalista. Ma dopo tanti incontri sul filo del rasoio, con screzi, qualche minaccia più o meno velata, ma pure qualche sintonia, per fatti di cronaca, anche gravi, che lo riguardavano, Massimo da quando era molto malato aveva deciso di confidarsi. E alla mia richiesta di farsi intervistare in video per la rubrica Michè di Primocanale aveva accettato.
È successo prima dell'estate 2024, forse a convincerlo era stata la soddisfazione dell'assoluzione al processo per le presunta estorsione a Preziosi. Avevamo anche fissato il posto dove fare l'intervista, il set, che Michè lascia sempre scegliere all'intervistato.
Ci saremmo incontrati al centro della gradinata Nord completamente vuota. Il regno di Massimo. Avevamo ottenuto il permesso per farlo, e lui aveva contribuito non poco a ottenere le autorizzazioni per accedere al Ferraris.
"Potremmo andare anche senza dirlo a nessuno, io so come si fa" aveva garantito subito esibendo la vecchia grinta da capo ultrà. Ma quando gli feci notare che Primocanale non poteva avvallare un'intervista in un luogo privato senza le autorizzazioni, lui capì subito e decidemmo di rinviare in attesa delle concessioni. Era stata informata anche la Digos.
Quella sua affermazione però mi aveva dato due conferme: primo, Massimo era ancora molto influente e potente in seno alla tifoseria tanto da entrare nello stadio quando e come voleva; secondo, lui era molto intenzionato a raccontarsi a Michè. Io gli avevo solo detto che lui sarebbe stato libero di dire quello che voleva e che io però gli avrei fatto tutte le domande che ritenevo giuste, a cui lui avrebbe potuto non rispondere. Premesse ovvie, ma ribadite.
Quei pochi giorni di rinvio purtroppo si riveleranno fatali per il progetto dell'intervista.
Ottenute le autorizzazioni per l'ingresso al Ferraris, non siamo però mai riusciti a incontrarci per i problemi di salute di Massimo, che nel corso dell'ultimo anno è stato più volte vittima di crisi respiratorie, ed era finito anche in ospedale.
L'ultima volta che ci siamo sentiti, circa un mese fa, mi aveva detto di passare da Bogliasco per fare due chiacchiere e vedere se riuscivamo a fissare la data dell'intervista. Ma si sentiva dal respiro affannoso che era molto sofferente. Così non ho voluto stressarlo, confidando, sperando - non solo per l'intervista - che potesse migliorare.
Non è stato così e la notizia improvvisa della sua morte mi ha fatto male, anche se non mi ha sorpreso.
Certo, mi lascia anche un grande rammarico: cosa voleva dirmi Leopizzi?
Ma io avrei voluto fagli altre mille domande, senza sconti, la prima su tutte su cosa significa essere ultrà, ultrà poi come lui di destra, e quanto pesa la politica in gradinata, i calciatori e le partite che aveva amato di più, quanto gli pesava non andare allo stadio a causa del Daspo, e tante altre domande ancora.
Sono sicuro che sarebbe stata un'intervista molto interessante, per capire non solo Massimo Leopizzi ma l'intero mondo ultrà, una realtà complessa e contraddittoria, piena di violenza, a Genova segnata dall'omicidio di Vincenzo Spagnolo, nel resto d'Italia sempre più al centro di inchieste per i legami con la criminalità organizzata.
IL COMMENTO
L'ultrà Leopizzi e l'intervista nella Nord mai avvenuta
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